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Io venía pien d'angoscia a rimirarti
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Io venía pien d'angoscia a rimirarti - Michele Mari - copertina
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Io venía pien d'angoscia a rimirarti

Descrizione


Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l'attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Nel frattempo, in paese, alcuni episodi cruenti turbano la serenità degli abitanti. Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, come delitti efferati, coincidenze lunari e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell'Ottocento, il romanzo è l'esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano, ed è al contempo un'originale variazione sul tema del doppio.
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Dettagli

2016
24 maggio 2016
150 p., Brossura
9788806228965

Valutazioni e recensioni

Corrado Torielli
Recensioni: 4/5

All'inizio dellanlettura sorprende. Sembra impossibile andare avanti invece conquista interesse ogni pagina in più.

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Recensioni: 4/5

I genitori di Tardegardo Giacomo l’inchieggiano ma sarà suo fratello Orazio Carlo a scoprire il segreto del poeta, la sua attrazione e devozione verso la luna, il buco bianco nel cielo delle ispirazioni e delle trasformazioni. Quale miglior encomio alla grandezza di Leopardi di questo pregevolissimo gioco linguistico, composto da ricercatezza citazionistica, invenzione bibliografica, rimpasto dell’italiano settecentesco, contaminazione di generi, non che occorresse la versione di Mari per riconoscere a Leopardi il suo genio elegante e immortale con nulla da invidiare ai vampiri.

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Cristina Alessi
Recensioni: 5/5

Il libro è composto da 150 pagine, una lettura veloce ma non banale, che cattura il lettore e lo spinge ad andare avanti nonostante lo stile ricco e giocosamente ampolloso del testo, vivendo un'avventura che rimane solo sussurrata, mai totalmente spiegata ma che non può fare a meno di lasciare un sorriso divertito sul viso a lettura ultimata. Perché Io venia pien d'angoscia a rimirarti è un divertissement che prova a spiegare la profonda fascinazione che Leopardi aveva per la Luna mescolando erudizione e fantasia, spiegazioni filologiche accurate e racconti popolari, miti e leggende calati sullo sfondo di un romanzo gotico. A parlare direttamente con il lettore è Orazio, il fratello minore di Leopardi che nel libro non verrà mai menzionato per cognome o attraverso il nome più noto, Giacomo, ma verrà semplicemente chiamato Tardegardo, che si stia parlando del sommo poeta italiano è possibile dedurlo solo da indizi lasciati qua e là: i nomi dei familiari, il borgo di Recanati, il titolo nobiliare e infine lo stesso titolo che non è altro che un verso della famosa ode Alla Luna. Orazio dunque ci accompagna attraverso le pagine del suo diario e ci racconta dello strano comportamento che il fratello, solitamente molto tranquillo e tutto dedito allo studio, ha assunto da un po' di tempo, delle strane uccisioni, a detta di tutti causate da un lupo, che sono avvenute nei possedimenti di famiglia e come i lupi e la luna, notoriamente legati a doppio filo nei racconti leggendari, abbiano da sempre avuto un ruolo importante nella genealogia Leopardiana. La storia fantastica diventa intelligente scusa per dipingere un ritratto di Leopardi che si discosti dalle briglie imposte dai testi di letteratura, fornendo però un quadro piuttosto ampio e probabilmente veritiero dell'immenso uomo di cultura che il poeta di Recanati doveva essere stato, senza per questo reiterare per la millesima volta la storia, sentita e risentita, di un Leopardi depresso, solo e isolato che non faceva altro che ammazzarsi di studio. Ciò che accade nel borgo, le domande curiose del padre, le preoccupazioni di Orazio snocciolano, quasi senza che il lettore se ne renda conto, secoli e secoli di poesia, di filologia, di cultura greca, latina, indiana, americana, germanica, ecc. Fatti e fatterelli, storie reali e di fantasia, si mescolano e si fondono dando vita a un trattatello che sembra condensare secoli di cultura in pochissime pagine. Ad arricchire il testo, l'uso sapiente e allo stesso tempo divertente di un italiano ormai antico, pieno di verbi che ricalcano la forma di quel "pentirommi" che ritroviamo ne Il passero solitario. Sembrerebbe che il testo richieda chissà quali competenze e conoscenze ma in realtà non è così, la brevità aiuta a non stancare il lettore meno esperto ma allo stesso tempo stuzzica, divertendolo, quello che riesce a cogliere i riferimenti.

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Recensioni

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Michele Mari

1955, Milano

Michele Mari è uno scrittore, traduttore e poeta italiano. Tra i suoi titoli, Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venía pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), La stiva e l'abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell'anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro 2010), Cento poesie d'amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007), Milano fantasma (edt 2008, in collaborazione...

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