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Anno edizione: 2016
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All'inizio dellanlettura sorprende. Sembra impossibile andare avanti invece conquista interesse ogni pagina in più.
I genitori di Tardegardo Giacomo l’inchieggiano ma sarà suo fratello Orazio Carlo a scoprire il segreto del poeta, la sua attrazione e devozione verso la luna, il buco bianco nel cielo delle ispirazioni e delle trasformazioni. Quale miglior encomio alla grandezza di Leopardi di questo pregevolissimo gioco linguistico, composto da ricercatezza citazionistica, invenzione bibliografica, rimpasto dell’italiano settecentesco, contaminazione di generi, non che occorresse la versione di Mari per riconoscere a Leopardi il suo genio elegante e immortale con nulla da invidiare ai vampiri.
Il libro è composto da 150 pagine, una lettura veloce ma non banale, che cattura il lettore e lo spinge ad andare avanti nonostante lo stile ricco e giocosamente ampolloso del testo, vivendo un'avventura che rimane solo sussurrata, mai totalmente spiegata ma che non può fare a meno di lasciare un sorriso divertito sul viso a lettura ultimata. Perché Io venia pien d'angoscia a rimirarti è un divertissement che prova a spiegare la profonda fascinazione che Leopardi aveva per la Luna mescolando erudizione e fantasia, spiegazioni filologiche accurate e racconti popolari, miti e leggende calati sullo sfondo di un romanzo gotico. A parlare direttamente con il lettore è Orazio, il fratello minore di Leopardi che nel libro non verrà mai menzionato per cognome o attraverso il nome più noto, Giacomo, ma verrà semplicemente chiamato Tardegardo, che si stia parlando del sommo poeta italiano è possibile dedurlo solo da indizi lasciati qua e là: i nomi dei familiari, il borgo di Recanati, il titolo nobiliare e infine lo stesso titolo che non è altro che un verso della famosa ode Alla Luna. Orazio dunque ci accompagna attraverso le pagine del suo diario e ci racconta dello strano comportamento che il fratello, solitamente molto tranquillo e tutto dedito allo studio, ha assunto da un po' di tempo, delle strane uccisioni, a detta di tutti causate da un lupo, che sono avvenute nei possedimenti di famiglia e come i lupi e la luna, notoriamente legati a doppio filo nei racconti leggendari, abbiano da sempre avuto un ruolo importante nella genealogia Leopardiana. La storia fantastica diventa intelligente scusa per dipingere un ritratto di Leopardi che si discosti dalle briglie imposte dai testi di letteratura, fornendo però un quadro piuttosto ampio e probabilmente veritiero dell'immenso uomo di cultura che il poeta di Recanati doveva essere stato, senza per questo reiterare per la millesima volta la storia, sentita e risentita, di un Leopardi depresso, solo e isolato che non faceva altro che ammazzarsi di studio. Ciò che accade nel borgo, le domande curiose del padre, le preoccupazioni di Orazio snocciolano, quasi senza che il lettore se ne renda conto, secoli e secoli di poesia, di filologia, di cultura greca, latina, indiana, americana, germanica, ecc. Fatti e fatterelli, storie reali e di fantasia, si mescolano e si fondono dando vita a un trattatello che sembra condensare secoli di cultura in pochissime pagine. Ad arricchire il testo, l'uso sapiente e allo stesso tempo divertente di un italiano ormai antico, pieno di verbi che ricalcano la forma di quel "pentirommi" che ritroviamo ne Il passero solitario. Sembrerebbe che il testo richieda chissà quali competenze e conoscenze ma in realtà non è così, la brevità aiuta a non stancare il lettore meno esperto ma allo stesso tempo stuzzica, divertendolo, quello che riesce a cogliere i riferimenti.
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