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"L'unica via per aiutarla è non cercare di aiutarla. Solo diventare piccoli. Congelarsi. Confondersi con il muro. Fermi. Davvero la finestra c'è ed è rimasta aperta? Davvero spero che voli fuori? Oppure sto in agguato, fermo, la fisso dal buio con gli occhi pietrificati, in attesa che crolli sfinita. Allora potrò piegarmi e prendermi cura di lei come all'inizio. Sin dall'inizio." Amoz Oz "Non dire notte" In una nuova cittadina ai confini con il deserto israeliano, una coppia matura trascorre la quotidianità tra progetti da realizzare, tradimenti di poca importanza, sintonie profonde. Al di là di ogni silenzio, di ogni differenza, ci sono scelte sagge di riflessione e conciliazione. Storia breve, trama semplice quasi pretestuosa. Prosa lenta e affascinante che Oz, dichiaratamente, cerca di "suonare come geometria, di asciugare il sentimentalismo, altrimenti viene stucchevole come marmellata di prugne che tra l'altro detesto"
"Non è esplicitamente un romanzo politico: non tratta del destino del popolo ebraico, di coloni, di guerra, di Mossad o del conflitto israelo-palestinese, bensì dell’Israele che non appare sulla Cnn. È un libro che parla d’amore, gelosia, passione, morte. Di gente che vuole fare qualcosa di buono, fare del bene – tema molto raro in letteratura – e poco importa se lo fa in piccolo", in un paese sperduto nel deserto di Negev, Tel Kadar, una città provinciale quasi un microcosmo pieno di gossip, pettegolezzi, in cui ci sono ideologi e filosofi spiccioli e dove tutti si conoscono, si incontrano al bar, ma vorrebbero essere altrove. È quindi una storia d’amore tra due persone non più giovani, sulla sensualità e sulla sessualità di mezza età. Non è un dialogo e non è esattamente un monologo interiore, ma un qualcosa che sta fra i due: un dialogo solitario, dove non c’è necessariamente spazio per i conflitti; un dialogo in cui si parla del proprio io e ci si giustifica in modo assolutamente stupendo e perfetto. La vicenda narrata risale al 1990. Nel romanzo ci sono due voci di primo piano e una sullo sfondo. Le voci in primo piano sono quelle di un uomo sessantenne, Theo, e di una donna di quarantacinque anni, Noa. Sono due persone estremamente diverse: Theo, urbanista di successo, è in un momento della sua vita in cui desidera trovare pace, tranquillità e solitudine, dopo aver vissuto una vita ricca di avventure: è stato urbanista di grande valore, ha progettato insediamenti e quartieri modello; ha vissuto le stagioni della guerra e quelle dell'incerta pace nella sua giovane patria, Israele. Ha conosciuto la sua terra e anche il mondo (ha conosciuto Noa, la sua compagna, in Venezuela); ha continuato a progettare, a conoscere la natura e le debolezze degli esseri umani, ad amare sbrigativamente tante donne. Noa invece, frenetica professoressa di lettere che insegna nella scuola locale, cerca azione e vuole impegnarsi in qualcosa di diverso. Il problema principale tra i due è il ricoprire troppi ruoli l’uno per l’altra. Lui è di lei padre, fratello maggiore, amante, figlio e prigioniero; lei per lui è madre, figlia, sorella, amante e carceriere. Il fragile equilibrio tra i due si rompe, apparentemente, nel momento in cui uno degli allievi di Noa muore per overdose e le viene chiesto di occuparsi della costruzione di un centro di riabilitazione per giovani tossicodipendenti. È l’occasione che Noa aspettava, ma anche il momento per una scelta importante: continuare come sempre o battersi e correre rischi per realizzare qualcosa di diverso? Noa accetta la sfida con tutta la determinazione che possiede perché, ovviamente, nessuno vuole avere drogati sotto casa, nessuno vuole seccature. Anche Theo, compagno fedele e premuroso, la scoraggia col suo mutismo e il suo sguardo impassibile. Il rapporto che già da tempo sembrava essersi sopito, entra in crisi. Emergono due modi opposti di concepire la vita, che si scontrano: l'entusiasmo contro la saggezza di chi è convinto che tutto sia inutile; la buona volontà contro il nichilismo; l'amore contro il fatalismo.
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