Indice
Le prime pagine del libro
LUI dormiva ancora, lei era accanto al letto e lo guardava con occhi dolci. La fioca luce del giorno che filtrava dalla serranda rischiarava appena la stanza. La sera prima Massimo, uno dei migliori detective di Roma, era rientrato a casa tardi, zuppo di pioggia dalla testa ai piedi. Aveva posato la ventiquattrore sul tavolo, si era liberato degli indumenti grondanti e poi, tossendo, si era infilato sotto le coperte. Aveva cinquantanove anni e il peso di quelle nottate di lavoro cominciava a lasciare il segno, conferendogli una perenne aria stanca.
Lei lo osservò ancora per qualche secondo. Sapeva tutto di lui, conosceva ogni sua abitudine, ogni sua più piccola mania. Era troppo presto per svegliarlo. Si diresse verso il corridoio e, arrivata all'ingresso, aprì la porta di casa, posando sulla maniglia le zampe anteriori, poi corse giù per le scale.
«Ciao, Quin», disse la portiera, vedendola arrivare. Lei abbaiò in segno di risposta e uscì dal portone. I negozi avevano aperto da poco. Dopo aver rincorso una manciata di foglie alzate dal vento, Quin girò l'angolo del palazzo e si infilò in una panetteria, fiutando l'odore del pane fresco e delle brioche. Nessuno si stupì più di tanto nel vederla, tutti sapevano che quel pastore tedesco era il cane di Massimo Milani.
Tornò a casa tenendo delicatamente tra i denti un sacchetto con dentro due cornetti appena sfornati, spinse la porta, che era rimasta socchiusa, e corse allegramente nella stanza del suo padrone. Come di consueto, lasciò cadere la busta su una sedia e si avvicinò a lui per svegliarlo. Gli leccò una mano che penzolava fuori dal letto, gli diede dei colpetti col muso su una guancia e mugolò debolmente; poi, vedendo che era tutto inutile, appoggiò il muso sul letto, mettendosi ad aspettare.
Nei giorni che seguirono ci fu un grande trambusto nella casa di Milani, gente che andava e veniva di continuo. Il notaio Bertoni, amico di vecchia data del detective, si avvicinò a Quin, che stava accucciata in disparte tenendo fra le zampe una scarpa del padrone. «Massimo non c'è più», disse, «ma stai tranquilla, troveremo chi si prenderà cura di te.»