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Anno edizione: 2016
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Garibaldi, dopo la fortunata spedizione dei Mille, era rimasto con l’amaro in bocca, perché l’amata Roma era ancora in mani papaline, ben protette dai soldati francesi. Era un uomo, però, che non si dava per vinto, così che raccolti dei volontari, sbarcò in Calabria, ma sull’Aspromonte si imbatté in un grosso reparto di soldati regi, mandati a intercettarlo onde non provocare con il suo comportamento pericolose tensioni con la Francia. E’ in quell’occasione che l’eroe dei due mondi fu colpito al malleolo da un proiettile sparato dal fucile del tenente dei bersaglieri Luigi Ferrari che, benché avesse ricevuto l’ordine di fermare i rivoltosi con qualsiasi mezzo, evitò volontariamente il bersaglio grosso. Subito dopo, ci fu la ritorsione di un garibaldino che ferì con un proiettile al piede l’ufficiale regio. Le conclusioni della vicenda furono diverse, però, perché Garibaldi venne curato dai migliori medici, mentre il povero Ferrari dovette subite l’amputazione del piede. Il fatto di essere riuscito a fermare Garibaldi e la ferita patita gli valsero comunque una medaglia d’oro al valor militare, con una motivazione non esplicita, ma che lasciava intendere molte cose («Adempì all'amaro compito di comunque fermare il generale Garibaldi in marcia verso Roma, Aspromonte 1862»). Fino a quando un commilitone non rese nota l’effettiva origine dell’encomio il Ferrari era un valoroso soldato, ritiratosi dall’esercito per la menomazione e divenuto stimato sindaco di Castelnuovo Magra. Alla notizia seguì una maledizione, giacché ora anarchici e garibaldini sapevano con chi prendersela per la ferita del loro eroe. Ferrari si dimise da sindaco, si rifugiò a La Spezia, ma ormai aveva tutto l’interesse di diventare un signor nessuno, di gettare alle spalle quel passato, anche eroico, durante il quale aveva combattuto nella prima e seconda guerra d’indipendenza e di cui il libro parla ampiamente. Interessante? Sì e no, perché in fondo è quasi una notizia di cronaca; resta il fatto, comunque, che permette di conoscere gli spasmi di un periodo storico in cui il mito era intoccabile, passibili quasi del reato di lesa maestà anche se sono convinto che, se dopo il fattaccio e a ferite ormai rimarginate fosse stato combinato un incontro fra Ferrari e Garibaldi, conoscendo l’animo generoso di quest’ultimo, le cose sarebbero andate diversamente; non ci sarebbe stata senz’altro quella damnatio memoriae che per tanto tempo accompagnò la famiglia Ferrari, rea di essere imparentata con quel criminale che si era permesso di sparare, ferendolo, all’eroe dei due mondi. L’incontro, o almeno il tentativo di abboccamento ci fu, però con Garibaldi ancora convalescente, che non lo ricevette, ma si limitò a salutarlo militarmente da una finestra. E’ stato proprio per liberarsi da un peso originario che si portavano appresso che, i due autori, entrambi discendenti di Luigi Ferrari, hanno scritto questo libro per restituire alla memoria un personaggio nel complesso senz’altro positivo. La lettura è comunque gradevole e anche per questo consigliata.
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