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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2022
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Consiglio caldamente la lettura di questo libro, in quanto racconta di una parentesi tristemente vera della storia; una storia di cui, fino ad ora, si è preferito ignorare lo squallore. E' un libro che, secondo me, lascia il segno, e che, a mio parere, fa nascere dentro una rabbia pensando a come degli esseri umani possano essere tanto crudeli nei confronti dei propri simili.
Berlino. Sveva, scrittrice italo-tedesca, in crisi per la stesura del suo secondo libro dopo il successo del romanzo d’esordio, incontra un’ammiratrice; l’anziana Herta Kiesel che entusiasta, le chiede un appuntamento per il giorno successivo. Titubante per lo strano comportamento dell’anziana signora, Sveva sarebbe tentata di evitare l’incontro fino a che si accorge che dietro la banalissima richiesta della donna, di presentare il suo romanzo presso la libreria di una coppia di amici, si nasconde un’esigenza ben più grave ed importante. Herta Kiesel è infatti una sopravvissuta del campo di concentramento di Ravensbrück, in seguito trasferita Buchenwald, ed è ben determinata, prima di morire, nonostante il ricordo dell’olocausto le procuri una grande sofferenza, a lasciare una testimonianza dell’orrore vissuto, in uno dei luoghi più squallidi e tristi, opera della “malata” ideologia nazista: il bordello di Buchenwald. Nel racconto fatto da Frau Kiesel a Sveva, il calvario della deportazione appare in tutta la sua meschinità e oscenità. Il ricordo dell’anziana signora apre scenari agghiaccianti sui vari aspetti dell’esistenza nei lager, “dove era possibile tutto e il contrario di tutto”; dove l’anomalia finiva per essere considerata normalità; dove contro ogni sentimento di rispetto e umanità si pretendeva di aver trovato la cura all’omosessualità ritenuta una malattia dai nazisti; dove l’indifferenza e i tradimenti generati dal terrore, tra deportati e deportate, finivano per prendere il sopravvento sulla più comune solidarietà umana. Con grande coraggio e forza d’animo Frau Kiesel, testimone diretta dei fatti, racconta alla giovane scrittrice, del programma di rieducazione politica e sociale del nazismo, attraverso la prostituzione coatta, giustificata dal regime come gesto di ringraziamento a tutti coloro che nel campo, prigionieri privilegiati compresi, contribuivano con il loro lavoro alla vittoria in guerra della Germania. Costrette a subire sterilizzazioni, aborti e ogni forma di gratuita violenza da parte di SS con disturbi di natura sessuale, tra cui l’impotenza, alle donne di Buchenwald veniva anche dato l’ingrato compito di testare l’efficacia delle terapie correttive dei comportamenti omosessuali, ovviamente del tutto innaturali. Molte delle prigioniere costrette a questo incarico perivano in seguito a malattie veneree, altre cercavano e trovavano rifugio nell’alcol. Le sopravvissute in genere, seppur con gravi danni psicologici, cercavano di continuare a vivere provando a rimuovere il loro triste passato, nascondendo con vergogna l’orrore subìto. Il programma di prostituzione coatta (in cambio del cui esercizio si prometteva alle vittime la libertà), come strategia politica del nazismo, getta luce sulla condizione delle donne nei campi di concentramento, sull’annullamento della loro dignità come donne e come esseri umani.
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