Ottima analisi dell'attuale monstrum del postmarxismo che defunge nel radicalismo.
Psicopatologia del radical chic. Narcisismo, livore e superiorità morale nella sinistra progressista
Nel 1970, negli States, vennero identificati i “radical-chic”: erano i ricchi borghesi che sostenevano il marxismo-leninismo. Questi “rivoluzionari da salotto”, animatori della “sinistra al caviale”, sono oggi la più influente lobby ideologica dell’Occidente: dominano i media, le Università, la Magistratura e i gangli dello Stato; orientano il linguaggio, emettono sentenze e stilano i pressanti speech codes del “politicamente corretto”. Il loro credo, verbo laico del globalismo, è fondato sulla narrazione sradicante e liberal della “società aperta”, tesa a distruggere ogni forma di identità: dal cosmopolitismo “no border” all’immigrazionismo multiculturale, dal progressismo individualista alle rivendicazioni LGBT, dalle teorie “gender fluid” alla destrutturazione della famiglia, passando per la furia iconoclasta della “cancel culture” e per la riconfigurazione green e digitale del “grande reset”. Un processo di sovversione che coinvolge le frange militanti della sinistra radicale e le grandi multinazionali. Ma chi sono realmente? Attingendo alla storia, all’attualità politica e alla psicologia, l'autore ne traccia un profilo inedito, capace di unire invettiva e studio scientifico.
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Anno edizione:2021
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Maurizio 03 dicembre 2023Ottimo
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Mario 15 febbraio 2023Scadente
Il termine psicopatologia, presente nel titolo, dovrebbe essere indicativo di un approccio scientifico all'argomento trattato, fornire un giudizio analitico con cui si definisce un fenomeno (in questo caso sociale e politico). Ci si aspetterebbe quindi di leggere estratti e considerazioni su analisi storiche, psicologiche e sociali, quindi oggettive e cliniche, sulla figura (che, a questo punto, rimane mitologica) del Radical Chic. Magari supportata da una (mancante) bibliografia e storiografia. Invece ci si trova di fronte a un'invettiva dell'autore e alle sue opinioni personali, sbrodolate senza alcun rigore analitico. Di fatto mancano date, nomi, eventi concreti, ricerche, luoghi, testimonianze, a sostegno di quanto si legge. I fatti storici si esauriscono dopo la prima riga del primo capitolo, in cui si attribuisce allo scrittore americano Tom Wolfe, la paternità del termine Radical Chic, coniato nel 1970 (anche in questo caso, nessuna nota bibliografica a sostegno di quanto riportato). Certo, potrebbe anche andar bene così ma, il titolo, sarebbe preferibile fosse "Opinioni personali sulla definizione di Radical Chic", visto la totale mancanza di una vera e propria analisi psicopatologica, in favore di un taglio del tutto opinionistico del libro. Peccato.
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