Un nuovo sguardo sull’infanzia
Quello che mi ha detto il diavolo. L'estate del nostro coraggio
Scritto con la delicatezza di un rimorso, questo romanzo indaga le zone d’ombra, il male annidato nella mente dei bambini, il momento esatto in cui l’innocenza si perde
«Lo scopo di un nome collettivo è quello di denotare un insieme di individui dando, appunto, un senso di collettività. Tante api rendono il nome di ‘sciame’, un gruppo di pecore viene chiamato ‘gregge’ e un insieme di persone viene definito ‘folla’. Non c’è però nessun nome collettivo per denotare un gruppo di soli bambini. Noi eravamo otto, nati e cresciuti nella stessa via e, in questo caso, avremmo potuto prendere il nome di ‘tripudio di bambini’. Ma quell’estate avrebbero anche potuto definirci come un ‘macello di bambini’.»
Estate 2004. Alberto ha dieci anni e vive con la sorella Rachele e la nonna in una strada protetta dal bosco e dal lago, senza i genitori. Nella stessa via abitano sei bambini: il gruppetto gioca sempre insieme. Le cose cambiano quando nel ‘loro’ bosco sul lago vengono trovati i corpi di due giovani, e si inizia a parlare di sette, di diavoli e di strani rituali. Convinto di aver subìto una maledizione il gruppo, capeggiato da Luca, inizia a sottoporsi a una serie di prove di coraggio sempre più pericolose, fino a che tutto non sfugge loro, fatalmente, di mano. Sarà lo stesso Alberto, una volta cresciuto, a rompere il silenzio e tornare a raccontare di quell’estate maledetta.
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Anno edizione:2025
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Bi Bagaglio 05 agosto 2025
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Pagine_e_inchiostro 03 agosto 2025Quello che mi ha detto il diavolo
Quello che mi ha detto il diavolo è un romanzo breve, dallo stile semplice e dal ritmo incalzante, che si propone di esplorare le dinamiche psicologiche dell’infanzia in modo diretto e senza mediazioni. La narrazione, ambientata nell’estate del 2004 e affidata al ricordo di due bambini ormai adulti, parte con una certa leggerezza: giochi tra amici, giornate lente, il gioco della campana e Shrek. L’equilibrio si rompe con la scoperta di due cadaveri nel bosco, che scatena in un gruppo di sei bambini una spirale di paura e superstizione. Il romanzo ha molti elementi interessanti, in particolare il modo in cui mostra la forza delle storie inventate dai bambini e come queste possano trasformarsi in qualcosa di pericoloso. Anche la rappresentazione della crudeltà infantile, spesso sottovalutata o edulcorata, è trattata con onestà, senza sconti né abbellimenti. L’autrice svela la psicologia infantile del gruppo con onestà: non c'è un filtro adulto, né il tentativo di renderla più comprensibile o rassicurante. Nonostante questi spunti, ho avuto l’impressione che la trama mancasse di un vero crescendo narrativo: la tensione non decolla mai davvero, tutto rimane in una zona di inquietudine, senza una reale svolta, se non sul finale. Un altro elemento che mi ha lasciata perplessa è stata una scena di violenza su un animale. Capisco l’intento di esplorare i lati più oscuri dell’infanzia, ma in questo caso il gesto mi è sembrato superfluo. La fine, già di per sé estrema, bastava a chiudere il cerchio. Non serviva un’ulteriore escalation: non sono sempre gli ultimi due gradini a determinare la discesa. Nel complesso, è una lettura che funziona, soprattutto per chi cerca un romanzo breve ma ben scritto, capace di toccare temi oscuri senza risultare retorico. Non è però un libro che lascia un segno profondo e se penso ad altri romanzi che trattano l’ambiguità dell’infanzia e la cattiveria dei bambini, ammetto di aver letto di meglio.
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