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A volte la finzione cinematografica può sopperire alle mancanze e alle brutture della vita reale; e il potere magico del cinema, capace di rendere reali i sogni di noi spettatori, può trasformare il mondo caotico ed anarchico in cui viviamo in un oasi felice. Quanti di noi non hanno sognato almeno una volta di vivere una romantica storia d’amore con la nostra star preferita? Quanti non hanno anche solo per un attimo sperato di essere uno dei protagonisti di un grande film d’avventura? Quello che capita alla frustrata e depressa Mia Farrow ne La rosa purpurea del Cairo è proprio l’occasione di rifarsi una vita, prima nel mondo reale in compagnia di un personaggio uscito (letteralmente) dal mondo della celluloide, e poi di vivere essa stessa un’avventura nel mondo della finzione cinematografica, un mondo in cui non si servono alcolici ma solo gazzosa, e in cui tutti si è costretti a recitare un copione prestabilito e ad osservare ruoli ben precisi. La rosa purpurea è un film ingiustamente (e incomprensibilmente) sottovalutato, una autentica dichiarazione d’amore di Woody Allen per la settima arte, una riflessione sulla realtà e sulla finzione, sulla sottile linea che separa questi due mondi: un piccolo ma grandissimo film, capace di commuovere e di far ridere (esilaranti gli intermezzi in cui si assiste alle discussioni dei personaggi del film abbandonati alla loro sorte dopo la fuga di Jeff Daniels) e soprattutto di farci sognare (del resto qual è lo scopo del cinema se non questo?) senza però mai farci perdere il contatto col mondo reale, con le sue ingiustizie e il suo cinismo, con cui tutti, sembra ricordarcii il regista nel finale del film, dobbiamo sempre fare i conti.
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