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Anno edizione: 2019
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Mio nonno, che forse era un po’ maschilista, diceva che una casa con due donne e senza un uomo su cui potessero sfogare le loro frustrazioni era un posto infernale; non riesco a immaginare, pertanto, come potrebbe essere una dimora in cui vivono quattro donne, peraltro di tre generazioni. E questo libro parla appunto di quattro persone di sesso femminile, strettamente imparentate, che risiedono nella stessa abitazione, ma quasi come estranee, perché nel tempo si è accumulata una indifferenza che a poco a poco è diventata rancore e che ha fatto sì che pur così vicine diventassero così lontane. Abbiamo così modo di conoscere Celeste, la più anziana, che da da anni non esce e sta rintanata in casa e la cui vita sembra imperniata su quei tre pacchetti giornalieri di sigarette di cui non riesce a farne a meno e la cui unica preoccupazione è la nipotina Mira, a parte la litania di una continua imprecazione, quel Sangue di Giuda che dà il titolo all’opera; poi c’è una donna a cui la vita sembra aver negato tutto o quasi e che risponde al nome di Assunta, figlia di Celeste; indi è presente, quando non in giro in cerca di una velleitaria scrittura, Nadia, la bella Nadia, altra figlia di Celeste e madre di Mira, una donna che senza sosta spera di sfondare nel mondo del cinema e che ha numerosi rapporti sessuali con uomini diversi, relazioni fugaci che illusoriamente scambia per amore, e infine l’adolescente Mira, che detesta il comportamento della madre, tutta tesa a prendere sul serio quello che serio non è e viceversa. Insomma direi che è un bel campionario di donne deluse, senza un futuro, fatta eccezione per la giovane Mira che comprende che l’unico modo per fuggire da quella ragnatela domestica è di andarsene, di fuggire. C’è un’atmosfera opprimente in questo romanzo, quasi un senso di soffocamento tombale e il lettore arriverà a conoscere con gradualità il carattere delle quattro protagoniste e a comprendere cosa si celi in realtà dietro un palpabile alone di mistero. Ma non ci sono solo donne, c’è pure qualche uomo, e direi che i protagonisti maschili non ci fanno una gran bella figura, ma del resto questo è in tutto e per tutto un libro al femminile, in un mondo di sentimenti tipici di questo sesso e con dei risvolti, sul finale, un po’ melodrammatici che personalmente avrei stemperato, ma io sono un uomo e non una donna. Una cosa è certa, il romanzo di esordio di Milvia Comastri, che fino a ora aveva pubblicato solo prose più brevi, è una rappresentazione intimistica di quella che dovrebbe essere una normale famiglia e non lo è, perché è evidente che non è il vivere sotto lo stesso tetto che fa un’autentica famiglia, e in questo senso sembra quasi rappresentare un’istituzione passata, con la sua storia particolare propria di certe saghe del secolo scorso. Non è facile, in questi casi, esporre ciò che si sente, si corre anche il rischio di infarcire il tutto con dei flash back, che per fortuna l’autrice è riuscita a limitare. Eventualmente ciò che può frenare il lettore è costituito dalle prime pagine, che appaiono abbastanza nebulose e che potrebbero anche distogliere l’attenzione, o addirittura far cessare la lettura. Però, basta superare questo scoglietto, e le cose diventano più semplici, la nebbia si schiarisce e il romanzo fluisce senza inciampi. L’argomento non è di quelli che rientra propriamente nei miei gusti e pur tuttavia devo dire che è riuscito a interessarmi e che quindi questo esordio in una prosa lunga può essere considerato complessivamente positivo e soddisfacente.
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