Questo non è un romanzo sulla malattia mentale: è la malattia mentale che si fa romanzo. Pierantozzi non racconta da fuori, ma da dentro. Ci consegna la sua mente come un paio d’occhiali da indossare, e ci invita a guardare il mondo attraverso le sue lenti: distorte, iper-lucide, a tratti allucinate, sempre oneste. Il cuore pulsante del libro è proprio questa radicale schiettezza, che attraversa ogni frangente della quotidianità – dal rapporto con la famiglia alla sessualità, dalla terapia al lutto – senza mai cedere al patetismo o alla retorica del dolore. La lingua è nuda, diretta, priva di orpelli. Non c’è spazio per la letterarietà compiaciuta: il pensiero scorre come nella mente di chiunque, in un continuum che mescola presente e passato, ossessioni e ricordi, impulsi e riflessioni. È il contenuto a destabilizzare, non la forma. Eppure, proprio questa semplicità stilistica permette al lettore di abitare davvero la mente dell’autore, di viverne le manie, i ragionamenti, i tentativi di controllo, le derive. Il rapporto con la madre è una delle tante declinazioni attraverso cui la malattia si manifesta e si rifrange. Figura ambivalente, la madre è al tempo stesso rifugio e specchio, ma resta parte di un mosaico più ampio: quello di una mente che cerca, con disperata lucidità, di raccontarsi senza veli. Pierantozzi riesce a tenere in equilibrio la componente scientifica – farmaci, diagnosi, sintomi – con quella più visionaria e poetica. Le due dimensioni si fondono, si contaminano, si rincorrono, restituendo un’esperienza di lettura che è al tempo stesso intima e universale. Perché, in fondo, Lo sbilico ci costringe a interrogarci: cosa ci separa davvero dalla malattia mentale? Forse solo un fragile filtro tra pensiero e azione, tra impulso e controllo. Alla fine, non resta un senso di estraneità, ma una consapevolezza nuova: quella di quanto la normalità sia una costruzione labile.
Lo sbilico
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Lo sbilico dà voce a un bisogno collettivo fortissimo: quello di nominare con precisione il malessere psicologico, l'alienazione, la medicalizzazione e la solitudine. Un'impresa che può fare soltanto la grande letteratura.
«Noi matti non abbiamo solo il diritto di essere soccorsi dai sani, ma anche il dovere di inceppare ogni giorno il mondo per metterlo in discussione ai loro occhi».
«Tra ondate di dolore e picchi di consapevolezza, con una scrittura magnifica, Pierantozzi consegna un romanzo purissimo che non è solo storia personale ma testimonianza di presente.» - Teresa Ciabatti, La Lettura
«Il problema era che io aspettavo i corvi, e invece arrivavano i pensieri». Cosa accade quando la realtà si smaglia, e lascia entrare l'allucinazione? Quando la paura ti avvinghia e si accorcia il respiro? Quando l'unico modo che hai per stare al mondo è vivere su un precipizio, nello «sbilico» delle cose? Alcide Pierantozzi si è immerso in quel precipizio, e ne è uscito stringendo tra le mani un libro unico, letterario e ossessivo, capace di raccontarci per la prima volta in modo crudo e vero, “da dentro”, un male che è di molti. Una storia di una potenza disarmante, che urtica e lenisce insieme, e che una volta iniziata pretende di essere letta fino all'ultima parola. O bevuta fino all'ultima goccia, come una medicina. Alcide ha quarant'anni, a volte dorme ancora con sua madre, prende sette pasticche al giorno (cinque la mattina e due dopo cena), ed è considerato «un paziente lucido, vigile, collaborativo, dall'eloquio fluido». È un essere umano «difettoso» tra i tanti, ma i suoi difetti stanno tutti dentro quattro pagine di diagnosi controfirmate da uno dei più famosi psichiatri italiani: «disturbo bipolare», «spettro dell'autismo», «dissociazione dell'io», «antipsicotici», «pensieri di mancata autoconservazione»... Dal suo esilio in una cittadina dell'Abruzzo, dove ogni cosa sembra da sempre uguale a sé stessa, Alcide ci racconta il tempo melmoso delle sue giornate. Le ore in spiaggia, o a sfinirsi in palestra, dove va per riguadagnare in muscoli quello che ha perso in lucidità mentale. Soprattutto ci racconta – con tutta la chimica che ha in testa – cosa accade quando l'equilibrio psichico s'incrina: l'innesco della paranoia, la percezione che si sdoppia, il modo in cui il tempo fermo di un'attesa non è mai davvero fermo, perché è lì che arrivano i pensieri. Nel suo resoconto si alternano momenti di un “prima” a Milano, la città che da sola sembrava poterlo tenere in vita, e di un “prima ancora”, un'infanzia in cui tutto faceva già troppo male ma a salvarlo c'erano la nonna, la bicicletta, tutto uno zoo di animaletti di campagna. Nel presente, invece, c'è la vita con sua madre, che è insieme origine, scandaglio e unico argine possibile delle sue psicosi. E poi c'è l'ossessione per le parole: la ricerca quotidiana in biblioteca, nei dizionari, nei libri, dei termini esatti, che sappiano ridurre l'irriducibile, nominare l'innominabile. Questa è la storia di uno sperdimento, una storia che possiede il dono e la condanna di saper parlare davvero a chiunque. A chiunque, almeno una volta, non si sia riconosciuto nel proprio riflesso allo specchio; a chiunque abbia sentito la realtà passargli accanto come un vento laterale; a chiunque abbia messo in dubbio la fondatezza dei propri pensieri e dei propri desideri. Sono pagine brucianti, che Alcide Pierantozzi ha scritto come se il suo corpo fosse un sismografo, registrando il disagio psichico nella sua forma più pura, descrivendo la violenza – poetica e brutale – di una mente smarrita che cerca di trovare una stabilità impossibile, ma che sempre, sempre, prova a salvarsi.
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Anno edizione:2025
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Ely 26 novembre 2025Viaggio in una mente diversa
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SIRI 15 novembre 2025Un viaggio
Lo sbilico, un titolo che racchiude ogni recensione possibile. Un libro che entra nelle piaghe dell'anima, che scuote e travolge. Allucinazioni, manie e ossessioni che si mescolano a fatti reali, a ricordi inabissati. Un viaggio lento che ti costringe ad attraversare un dolore crudo e delirante ancora troppo poco conosciuto.
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Pagine_e_inchiostro 23 luglio 2025Lo sbilico
“Il problema era che io aspettavo i corvi, e invece arrivavano i pensieri." Cosa succede quando la realtà si incrina, quando l’equilibrio psichico si sgretola e ciò che resta è lo sbilico? Lo sbilico è insieme testimonianza e romanzo, la cronaca di un disagio mentale vissuto in prima persona e un tentativo disperato e lucidissimo di dargli parola. Alcide ha quarant’anni, assume sette pasticche al giorno e sulla sua testa pesa una diagnosi multipla: disturbo bipolare, spettro autistico, dissociazione dell’io. La scrittura diventa così un’urgenza: raccontare cosa succede dentro. Pierantozzi lo fa con uno stile letterario che è carne viva: scarnificato, poetico, spesso spietato, mai compiacente. Dal suo isolamento in una cittadina abruzzese, tra giornate ovattate, palestra e letture solitarie, Alcide ci apre le porte al suo mondo interiore: uno spazio sospeso, in cui la paranoia si insinua nei momenti più imprevedibili, l’attesa si popola di pensieri contorti e il linguaggio si trasforma in missione. Nel libro si intrecciano tre piani temporali: il presente, scandito dalla convivenza con la madre, figura salvifica e ambigua insieme; il passato recente a Milano, città-illusione e millantatrice di normalità; l’infanzia, già segnata da una sensibilità estrema. Quello di Pierantozzi non è un racconto che chiede pietà o comprensione. Non vuole commuovere, né confortare. È un libro che urta, che racconta il male psichico con precisione chirurgica, senza fare sconti a nessuno, nemmeno a sé stesso. Un testo che è allo stesso tempo racconto letterario e testimonianza sincera: quella di chi, pur restando immerso nel proprio smarrimento, trova il modo di guardarsi da fuori e di riuscire a raccontarlo. Lo sbilico parla a tutti coloro che almeno una volta si sono sentiti fuori sincrono con il mondo, estranei al proprio riflesso, dubbiosi della realtà o dei propri pensieri. Un libro che non ricuce lo strappo, ma lo illumina dall’interno.
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