Non c’è niente che renda il mio dolore peggiore o migliore del vostro, nessun grafico su cui si possa tracciare l’importanza relativa di una pena rispetto a un’altra. La gente mi dice: «La mia vita è piuttosto difficile in questo momento, ma non ho il diritto di lamentarmi: non è Auschwitz». Questo genere di raffronto rischia di condurci a minimizzare o sminuire le nostre personali sofferenze. Essere un sopravvissuto, essere «uno che vive bene» richiede l’accettazione totale di quello che è stato e di quello che è. Se minimizziamo il nostro dolore, o ci autopuniamo perché ci sentiamo perduti o isolati o spaventati dalle sfide della nostra vita, per quanto insignificanti queste stesse sfide possano apparire ad altri, scegliamo ancora una volta di sentirci vittime. Non stiamo scandagliando le nostre scelte. Stiamo giudicando noi stessi. Non voglio che, una volta udita la mia storia, diciate: «La mia sofferenza è meno importante». Preferirei che, udita la mia storia, diceste: «Se lei ce l’ha fatta, posso farcela anch’io!» - passo tratto dal libro -
La scelta di Edith
Una psicologa sopravvissuta ai lager ci insegna a superare i traumi del passato attraverso le resilienza
«La scelta di Edith è un dono per l'umanità e una di quelle testimonianze che ti cambiano per sempre» - Desmond Tutu, Premio Nobel per la Pace
Edith Eger aveva sedici anni quando i nazisti fecero irruzione nella città ungherese dove viveva. Insieme alla sua famiglia fu condotta in un campo di internamento e quindi ad Auschwitz. I genitori vennero inviati subito alla camera a gas su ordine di Joseph Mengele che, poche ore dopo, chiese a Edith di danzare per lui sulle note del valzer Sul bel Danubio blu, ricompensandola con un pezzo di pane che lei divise con le compagne di prigionia. Edith sopravvisse con la sorella ad Auschwitz, venne trasferita durante le marce della morte a Gunskirchen, un sottocampo di Mauthausen, e fu salvata da un soldato americano che la trovò, ancora viva, sopra un mucchio di cadaveri. Trasferitasi negli Stati Uniti dopo la guerra, ha studiato psicologia e, unendo le sue competenze professionali alla sua personale esperienza, si è specializzata nella cura di pazienti affetti da disturbi da stress post-traumatico. Reduci di guerra dall'Afghanistan, donne che avevano subito violenza, persone che soffrivano per un proprio personalissimo trauma, hanno imparato da lei che "il peggior campo di concentramento è la propria mente" e che libertà e guarigione iniziano quando impariamo ad affrontare il nostro dolore. "La scelta di Edith" è la storia dei passi, grandi e piccoli, che ci conducono dall'oscurità alla luce, dalla prigionia alla libertà e alla felicità.
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Autore:
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Traduttore:
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Editore:
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Collana:
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Edizione:6
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Anno edizione:2017
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Giada Gheller 21 settembre 2018
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Mi aspettavo un racconto più introspettivo considerando che si tratta di una storia vera. In certi punti mi è sembrato quasi un resoconto "sbrigativo" dei fatti e questo modo di narrare a mio parere ha quasi sminuito l'importanza dell'esperienza. La storia di questa donna è pazzesca e con questo commento non voglio certo sminuire il suo vissuto, al contrario, un approccio più intimistico avrebbe dato un valore aggiunto. Lo consiglio comunque sicuramente a tutti. Anzi, è un libro da prendere come esempio: un inno alla vita e alla forza innata dell'uomo.
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