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Anno edizione: 2015
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Si deve riconoscere a Vasco Pratolini il grande merito di aver narrato la storia d’Italia della prima metà dello scorso secolo, creando trame e personaggi che ben riescono a rappresentare ciò che sono stati quegli anni. Non è un osservatore degli accadimenti di un’epoca che possa essere definito imparziale, perché l’idea politica comunista che lo anima finisce con il dare corso alle sue storie, ma se il punto di vista è marxista c’è anche una grande correttezza e sensibilità nel non esacerbare le vicende, nel descrivere i personaggi con quella punta d’affetto propria di ogni grande autore, indipendentente dalla loro positività o negatività. Lo scialo è il secondo romanzo di una trilogia intitolata Una storia italiana e viene dopo lo stupendo Metello (il terzo è Allegoria e derisione); narra di Firenze fra le due grandi guerre e potrebbe essere definito come la parabola della piccola e media borghesia di quella città, estensibile però senza particolari problemi a quella di tutta l’Italia. E’ nata così un’opera che forse non era per corposità nelle intenzioni dell’autore, ma che lui ha sentito come necessaria, per non dire indispensabile, per descrivere, attraverso i tanti personaggi, protagonisti di vita quotidiana, dei rapporti fra il fascismo e appunto la borghesia. Ho detto che si tratta di un lavoro di consistente mole e forse sarebbe meno faticosa la lettura se l’autore avesse provveduto, in sede di stesura definitiva, a qualche opportuna sforbiciata, ma ciò non toglie che, superato lo sgomento iniziale quando ci si accorge delle tante pagine da leggere, il risultato alla fine risulta appagante. Per quanto, a mio avviso, non si possa parlare di un capolavoro, ma di un romanzo che presenta un livello di eccellenza, occorre riconoscere che l’indagine storico sociologica di Pratolini ha consentito di ben delineare i rapporti fra una borghesia cristallizzata, ma con più ampie aspirazioni, e l’arrembante regime fascista. E non si tratta di una relazione conflittuale, bensì vede questa classe intermedia cercare di cogliere l’occasione per assurgere a più alti livelli. Si tratta di gente che non esita a sporcarsi le mani, a rinnegare le sue origini, in passato proletarie, per lasciarsi trascinare in un folle arrivismo che non scuote le loro coscienze, perché lo scopo è solo uno: emergere, anche a scapito degli altri. Potrei dire che questa classe sociale non ha idee politiche e non è nemmeno fascista, eppure con una leggerezza imperdonabile salta in groppa al cavallo del fascismo, senza pudore e anche senza nessuna convinzione. Mussolini e i suoi fedeli sono soltanto l’occasione e nulla di più, ma se questo può essere la naturale conclusione di un un erudito saggio sociologico, così non si può dire per l’opera letteraria che di certo ha impegnato moltissimo Pratolini, che riesce a generare una trama, densa di personaggi che ruotano incontro a quattro protagonisti principali, e riconoscendo a tutti, nessuno escluso, una dignità che si estrinseca nella loro credibilità, perché mai, e ripeto mai, si ingenera nel lettore il dubbio che gli stessi siano frutto d’invenzione, come in effetti sono. Certo che Lo scialo finisce con l’apparire un’opera ambiziosa e che talora si perde per strada, complice l’inusitata lunghezza, ma poi alla fine quel fil rouge che appariva incredibilmente aggrovigliato si scioglie e si dipana, recuperando quella logica continuità che, se pur temporaneamente, pareva essersi persa. Da leggere, senza il benchè minimo dubbio.
Libro scomparso da un po' di anni dagli scaffali e meritoriamente riedito da Bur insieme con gli altri di Pratolini. I motivi, dopo averlo letto, sono facilmente intuibili:una mole spropositata (1216 pagine) già,credo, quando uscì negli anni sessanta, figuriamoci per i nostri tempi "mordi e fuggi"; inoltre un accumulo di linee narrative dove non tutto funziona e alcune sono piuttosto noiose (la storia di Nella, questa Bovary fiorentina, mi ha sfinito per diversi capitoli). Ma nonostante questo trovo che i lati positivi dell'opera siano preponderanti. Intanto la scrittura di Pratolini mi ha fatto godere:abituati al solito italiano cronachistico, leggere frasi costruite in modo insolito (mai visto, per esempio, all'interno dello stesso periodo ricorrere i due punti due volte) è un piacere raro, così come sono tutti da gustare i termini toscani sparsi a manciate e che comunque sono un patrimonio della nostra lingua,non riducibili a dialetto. Poi quando Pratolini si dedica alla descrizione della vita della gente e non alle fisime dell'annoiata moglie di cui sopra, ha una penna di prim'ordine: viva,brillante,colorita. Per finire è anche un - ahimè devo usare il cliché - affresco di un periodo interessante del nostro paese (gli anni del primo dopoguerra fino a circa gli anni trenta), in cui segue le vicende di questa miriade di personaggi della piccola borghesia fiorentina soffermandosi su alcune coppie. Pertanto mi posso ritenere più che soddisfatto. p.s.: a proposito dell'edizione:ottima la scelta di utilizzare pagine dello spessore della carta velina così da ridurre la grandezza a quella di un normale tascabile, ma quanti refusi!
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