A ben guardarla, non si può accusare Beverly Sutphin d'essere un personaggio equivoco o reticente: quella della moglie e madre affettuosa, casalinga impeccabile e cittadina modello non è una per nulla una facciata, bensì il biglietto da visita di una persona morbosamente devota alla perfezione, al punto da nutrire l'istinto di punire selvaggiamente ogni trasgressione a qualsiasi regola (di convivenza civile, di sicurezza, di rispetto, persino di buon gusto). Col suo perfezionismo sadico e cinico, Beverly è, sì, un soggetto disturbato - che non cerca di mascherare le proprie malefatte - ma è d'altronde il riflesso delle contraddizioni di una società ipocrita e vacua, superficiale e intimamente criminale. Il processo contro Beverly - maestra del polpettone la cui tavola, però, non contempla uccelli, da lei tanto amati - si trasforma in una lotta del perfezionismo e del moralismo contro se stessi, in cui l'imputata riesce a portare a galla la coscienza sporca dei suoi accusatori. Fatti e personaggi danno vita a un affresco lucido, dissacrante e grottesco.
