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Anno edizione: 2021
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Immergersi nella lettura di quest’ultimo scritto di Paolo Iacci è come un lento destarsi da un sonno profondo di inconsapevolezza. Duro appare il risveglio pagina dopo pagina. La complessità del Paese in cui ci troviamo è tale che esigerebbe una classe politica ed interlocutori, ai diversi livelli delle istituzioni, che abbiano un elevato grado di competenza per poterla gestire. Ed invece vige la dittatura dell’ignoranza. L’autore dunque ci conduce attraverso un viaggio di presa di coscienza e consapevolezza di ciò e svela le motivazioni che hanno condotto la nostra società verso un disamore per la competenza e la pervasività dell’ignoranza. A partire da una classe dirigente incompetente e non all’altezza che si è abbandonata a comportamenti antiscientifici, passando per la famiglia, nella quale i genitori, che dovrebbero fungere da “testimoni di come si possa stare in questo mondo con desiderio e responsabilità”, non riescono a trasmettere ai propri figli la loro stessa voglia di cambiare il mondo, fino a coinvolgere la scuola che versa in uno stato di degrado e nella quale si respira un elevato livello di impreparazione, tanto che dovrebbe spingere chi di dovere a rinnovare l’intero sistema scolastico, ormai inadeguato, per evitare che il nostro Paese arretri nella classifica dell’innovazione, della produzione e del benessere. L’inadeguatezza delle istituzioni e l’assenza di guide di spessore hanno permesso dunque il diffondersi dell’ignoranza, che ha trovato poi ulteriore cassa di risonanza nella rete. Il web e i social network sono diventati le maggiori fonti di conoscenza, a tal punto che anche chi non è esperto si arroga il diritto di ritenersi tale solo per aver navigato wikipedia o sfogliato qualche post. Chi ha più notorietà ma non le competenze ha ormai più possibilità di influenzare l’opinione pubblica rispetto a chi è esperto in materia e quando la materia di cui si discute riguarda l’ambito medico i tanti incompetenti rischiano addirittura di far danno. C’è una grande differenza, sottolinea Iacci, “tra l’avere notizia di una cosa e il sapere una cosa. E poi vi è ancora un’altra grande differenza tra il sapere una cosa e il saper fare la stessa cosa. E vi è un ulteriore salto tra il possedere delle informazioni e avere la cultura per sapere che cosa farsene”. La rete invece non lascia spazio alla rielaborazione personale e frantuma la differenza tra chi sa e chi non sa, permettendo ad influencer ed ignoranza di avere la meglio su Maestri e competenza. Per non parlare delle ripercussioni nelle imprese italiane. Qui si va diffondendo la convinzione che l’importante è fare soldi e dunque soprattutto i giovani, non vedendo riconosciuto il proprio impegno ed il proprio lavoro, sono spinti a scegliere di trasferirsi all’estero, là dove vedranno valorizzato il merito e soddisfatte le aspettative professionali ed economiche. “Si spende tanto per l’istruzione e la formazione dei giovani e poi non ci si preoccupa di trattenerli, né tantomeno di farli poi tornare a casa”. Chi resta si trova a vivere in uno stato di smarrimento, privo di desiderio e progettualità futura e ad affrontare un costante ‘problema di senso’ nell’astenia generale, in cui non sembra esserci alternativa. “In passato vi era la speranza di un mondo migliore da conquistare…oggi prevale la rassegnazione”. Non alberga più qui neppure l’apprendimento e la competenza come leve naturali di miglioramento sociale. E’ venuta meno ormai la fiducia tra il vertice aziendale ed il corpo sociale d’impresa e le persone, che prima investivano nell’organizzazione e su se stesse, hanno assunto la convinzione che il loro sforzo ed impegno non porti da nessuna parte e dunque c’è minor voglia di studiare. Con questo approccio si è formata una disaffezione collettiva verso la cultura e una maggiore tolleranza di massa verso l’ignoranza. La politica, dal canto suo si rivela sempre più inadeguata e ha perso di efficacia ed idealità. Sostenuta dai media, è sempre più legata a personalismi e pettegolezzi, palesandosi al Paese come incapace di dare corso anche solo a soluzioni semplici. Avremmo bisogno di rappresentanti politici competenti ed invece “si è diffusa l’idea che gli eletti debbano semplicemente essere lo specchio del Paese, pur con tutti i loro limiti. Non i migliori, ma gente comune, senza una specifica preparazione”. Sarebbe necessario, suggerisce l’autore, ridestare il desiderio, ritornare a ‘guardare il cielo stellato’ e ad ambire ad un miglioramento costante, ritrovare il senso del proprio agire e non lasciarsi andare all’ignoranza diffusa e agli stimoli d’inettitudine. Bisognerebbe “puntare sul capitale umano e sulle competenze come driver per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva”, volgere lo sguardo soprattutto verso gli individui in evidente svantaggio sociale, culturale e lavorativo (NEET e analfabeti funzionali), “lavorare sullo sviluppo di politiche mirate ed efficaci, nonché ripensare al lavoro come luogo d’elezione in cui le competenze si formano, si mantengono e si sviluppano esercitandole”. Tuttavia il tema della competenza è sempre più un problema che non può essere affrontato da un solo soggetto istituzionale. Occorre la collaborazione di tutti: le imprese, il mondo del lavoro, le istituzioni pubbliche, la famiglia, i singoli soggetti adulti. Alla luce di ciò, questi soggetti sono tutti potenziali pubblici e lettori di questo libro, nel quale potrebbero vedere contestualizzato il proprio ambito di responsabilità all’interno di una visione più ampia d’insieme e potrebbero percorrere da protagonisti, guidati dall’autore, la strada verso una piena consapevolezza dei problemi del Paese di propria competenza, al fine di immaginare possibili soluzioni. Del resto “senza consapevolezza non ci può essere alcun percorso terapeutico”. Angela A.
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