Il valore della testimonianza di Fadhma è senz’altro etnografico, sociologico, antropologico-culturale e antropologico-giuridico. Fa luce, con disarmante onestà, sull’universo culturale kabylo, con le sue crudeltà e i suoi sentimenti, sulla condizione delle donne, la cui identità di genere è perpetuamente costruita e decostruita dallo sguardo comunitario, sulle consuetudini berbere, in equilibrio fra patriarcato e matriarcato, segnate da commistioni inattese, a livello locale e personale, fra islam e cristianità (i marabutti consigliano di recitare i rosari, il culto mariano non è sconosciuto a quelle contrade, sui tappeti berberi si ricamano i segni della tradizione giudaico-cristiana…); Storia della mia vita fa luce anche sulla condizione di esilio in cui versarono migliaia di altri magrebini, sulle complicazioni etniche, biografiche, geopolitiche e intime che possono condizionare gli attori sociali in quanto locutori e sul senso, infine, di una scelta espressiva precisa: la scrittura. La scrittura di Fadhma è una lezione di etica e di estetica raminga, tanto più importante in una stagione della civiltà occidentale nella quale l’inatteso è sopraffatto dall’efficienza della programmazione.
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