La storia di Solomon

Seduto in mezzo alla strada, in una mattina d'estate, riflettevo su cosa mi avesse spinto a scappare di casa. Ad appena otto settimane di vita, mi ero trovato davanti a una scelta epocale, l'alternativa tra un'esistenza agiata e sicura, ma noiosa e prevedibile, e i rischi di un lungo viaggio in cerca della persona che amavo di più al mondo. Lei si chiamava Ellen, e io ero stato il suo gatto in una vita precedente, quand'era bambina. Era stata lei a darmi il mio nome, Solomon, e a quel tempo ero il suo migliore amico. Sì, era la decisione giusta: dovevo ritrovare la mia Ellen. D'un tratto, vidi un camion venirmi incontro. L'asfalto sotto le mie zampe cominciò a tremare, e la vibrazione mi attraversò tutto, dai ciuffi di pelo in cima alle orecchie fino alla punta della coda. Il mostro si avvicinava. Due occhi abbaglianti, una fronte di vetro e un nome impresso a grandi caratteri sul mento: SCANIA. Gli pneumatici erano giganteschi, e il motore ruggiva con la potenza di cinquanta leoni. Restai a fissarlo, ipnotizzato. Se fossi rimasto piantato dov'ero, assertivo e inamovibile come una tigre, senz'altro l'avrei costretto a fermarsi e a lasciarmi finire con tutta calma la mia toeletta. Il mio angelo non aveva l'abitudine di alzare la voce, ma quella volta urlò. «Scappa, Solomon. CORRI!»