Il TESORO
DAL LIBRO: Viveva a Nuoro di Sardegna, verso la fine d'aprile del 1886, un uomo chiamato Salvatore Brindis, soprannominato Cane Ruju. Aveva circa cinquant'anni; era alto, corpulento, con barba folta e grigia, faccia rossa e occhi assai strani, torvi, iniettati di sangue, che a momenti, divenuti limpidi e quasi dolci, si rassomigliavano a quelli di un cane intelligente; e forse a quegli occhi e al suo colorito sanguigno Salvatore Brindis doveva il suo soprannome. Da tutta la sua grossa persona spirava un'aria di prepotenza, di forza e di volontà; sul petto largo e robusto il velluto turchino del giubbone aderiva in modo da disegnare tutte le linee, e una cintura di pelle nera adorna di rozzi ricami, come usano i paesani nuoresi, stringeva fortemente il suo corpo poderoso. Salvatore Brindis apparteneva alla razza dei principali; possedeva bestiame, la casa dove abitava, una tanca nella montagna, un vasto terreno chiuso, con elci e pascoli estivi, e un podere nella valle, ed anche un cavallo famoso, grasso e robusto come il padrone. Le rendite gli permettevano di viver nè bene nè male, ma siccome egli preferiva viver bene, aveva anche debiti molto fastidiosi, pasture non pagate e una cambiale nella Banca Agricola. Visitava spesso i suoi possedimenti, specialmente l'ovile, ma buona parte del suo tempo la passava in città, occupandosi più degli altrui che dei proprii affari. Camminava tutto il santo giorno, e siccome calzava stivaletti signorili un po' stretti, i piedi gli sudavano in un modo orribile; e sua moglie, ogni notte, prima di andare a letto, glieli faceva lavare con acqua tiepida. Una notte, verso la fine d'aprile del 1886, mentre Salvatore si faceva il consueto lavacro, sua moglie entrò in camera con un'aria insolita e misteriosa. Agada Brindis, anch'essa verso la cinquantina, era alta e nervosa, con un lungo viso bronzino avvolto in una benda gialla; vestiva all'antica, con gonna d'albagio grigio e giubbone da uomo, di scarlatto cupo a doppio petto; ed era l'ignoranza personificata, piena di pregiudizi, superstizioni e rispetti umani; il che non le impediva d'aver talvolta un perfetto dominio sul marito. – Salvatore, – disse richiudendo la porta senza far rumore – ho da dirti una cosa. – Eh? Cosa? – esclamò egli alzando la faccia, più rossa del solito per lo sforzo che faceva chinandosi sul catino dell'acqua.
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