Thomas Hobbes
Una delle più singolari voci del sesquipedale, fino pantagruelico Dizio-nario storico-critico di Pierre Bayle, è proprio quella su Thomas Hobbes. E almeno per tre ragioni. Primo: vi si discute la vertiginosa questione del «popolo», o sia quella fantasmatica, umbratile entità che tanto im-pegnerà e conturberà le menti moderne fino ai giorni nostri. Secundo: vi si affronta, e nitidamente, il problema (sinistro quanto il precedente) dell'inaggirabile naufragio di tutte le idee astratte, tostoché risolvano di calarsi, o inverarsi, nella pratica. Tertio: vi emerge, in chiusa, la paura d'acchito inesplicabile che Hobbes, autore perlappunto d'una sulfurea o (meglio) famigerata opera intitolata: Leviatano, aveva delle apparizioni demoniache. Tre ragioni che, a vero dire, potrebbero compendiarsi in un solo e disturbante rovello: quello degli spettri. Spettri della politica, della filosofia; spettri di Hobbes. Spettri a oggi (ma lo saranno mai?) non ancòra pacificati.
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