La scrittura di Marías è unica soprattutto per i contenuti. È infatti capace di ragionare per intere pagine su una questione per approdare ad una soluzione inaspettata rispetto alle premesse, ed è questa la sua peculiarità. Inoltre le sue sommesse citazioni mostrano quanto questo autore sia colto. In Tomás Nevinson, nelle prime pagine e poi a spot nel corso di tutto il romanzo, richiama "Diario di un disperato" di Friedrich Reck-Malleczewen. Friedrich Reck-Malleczewen che morì nel campo di concentramento di Dachau racconta nel suo Diario che incrociò Hitler nell'autunno del 1932 sottovalutandone la infamia ed il ruolo che avrebbe ricoperto perché allora gli sembrò una volgare marionetta, essenzialmente uno stupido. Marías riflette sul fatto che Reck-Malleczewen vide Hitler entrare da solo all'Osteria Bavaria di Monaco e sedersi al tavolo accanto al suo. Reck-Malleczewen aveva con sé una pistola e avrebbe potuto uccidere Hitler senza difficoltà ma non lo fece. E da questo fatto storico prende avvio il romanzo di Marías che ha un protagonista Tomás Nevenson a cui viene nuovamente, dopo un periodo di inattività affidato un incarico dai servizi segreti. Ed è proprio questo incarico che lo metterà di fronte all’ennesima questione morale affrontata da Marías e cioè se il pericolo non è concreto ma solo astrattamente probabile anche se molto incerto in un futuro, è giusto uccidere una persona che si è macchiata di orrendi crimini ma che ha cambiato vita? In fin dei conti anche il crimine più efferato, quello che ha mietuto più vittime innocenti con il passare del tempo viene dimenticato o depotenziato. Ed è così per i crimini dell’Eta, organizzazione armata terroristica basco-nazionalista indipendentista, sciolta nel 2018, il cui scopo era l'indipendenza del popolo basco che è responsabile della morte di 829 persone (gli anni più sanguinosi sono stati il 1978 con 65 omicidi, il 1979 con 86 omicidi e, soprattutto, il 1980 con 99 omicidi).
Tomás Nevinson
Una profonda riflessione sui limiti di ciò che è lecito fare, sulla macchia che quasi sempre accompagna la volontà di evitare il male peggiore, e soprattutto sulla difficoltà di determinare quale sarà quel male.
«I romanzi di Marías scorrono impetuosi come fiumi in piena e tutto accade perché deve accadere sotto gli occhi attenti e partecipi di noi lettori. Dove ci porterà Nevinson?» - Paolo Mauri, Robinson
Tomás Nevinson, marito di Berta Isla, cede alla tentazione di tornare nei servizi segreti dopo esserne uscito: gli viene proposto di andare in una città del nord-ovest della Spagna per identificare una persona che dieci anni prima aveva preso parte ad alcuni attentati dell’Ira e dell’Eta. Siamo nel 1997. L’incarico reca la firma del suo ambiguo ex capo Bertram Tupra, che già in precedenza, grazie a un inganno, aveva condizionato la sua vita. Andrà cosí anche questa volta. Tomás Nevinson è la storia di ciò che succede a un uomo al quale è già successo di tutto e al quale, apparentemente, non poteva succedere piú nulla. Ma, finché la vita non finisce, tutto può accadere…
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Anno edizione:2023
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Barbarachicca24 17 gennaio 2025l’uccisione di Hitler avrebbe cambiato il corso della storia . è giusto uccidere in questi casi. avventure di un agente segreto alla maniera di Marisa
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Mario 06 ottobre 2022Bel romanzo
Non ho letto il libro precedente di Berta Isla e mi sono fidato dell'autore che anche alla fine ha voluto sottolineare che questo libro non era il seguito ma non mancherà occasione di leggere anche l'altro... romanzo che si fa leggere piacevolmente nei suoi intricati personaggi,si parla dell'Ira e dell'Eta, organizzazioni terroristiche che tanto sangue hanno sparso e di agenti segreti che passano la loro vita a cercarli anche con falso nome, consigliato.
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EvadiPalma 20 settembre 2022L'eterna arte della digressione
Un libro che sembra essere la prosecuzione di Berta Isla (in effetti Tomás Nevinson è suo marito), ma che in realtà con questo forma una coppia. Denso di citazioni letterarie, poetiche e teatrali - come ci ha abituato da tempo Javier Marías -, “Tomás Nevinson” colpisce ancor più per le riflessioni che suscita che non per lo stile, pur sempre stupefacente, al quale il suo scrittore ci ha ormai viziato. Un ritmo verboso e lento, dove la procrastinazione dell’azione è essenza della trama, caratterizzata da passaggi repentini dalla prima alla terza persona, come se ci venisse offerto di volta in volta un duplice punto di vista, tipico della complessità con cui ognuno affronta i dilemmi principali della propria esistenza, uno stratagemma che ci consente di uscire da noi stessi non solo per osservarci all’azione, ma anche, forse, per prendere le distanze dal nostro stesso agire. Marías sostiene di non decidere mai preventivamente cosa accadrà o come farà muovere un personaggio, ma di disegnare i suoi passi a mano a mano che li scrive, senza una traccia predeterminata. L’andamento carsico della narrazione ce ne dà continue conferme e per poter apprezzare appieno il romanzo occorre lasciarsi cullare da questo mare che si monta e si placa senza lasciarci quasi mai intravedere la terraferma. Una cosa è certa anche per chi può non aver amato questo libro: pure i pensieri più turpi e melmosi diventano adamantini nel tratto della penna di Marías.
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