Nella sua estrema asciuttezza (il libro è poco più lungo di duecento pagine) "Ubik" è senz'altro l'opus magnum di Dick (i fan di "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" mi perdoneranno). Come in un altro suo lavoro, "Un oscuro scrutare", il dualismo realtà/finzione è il motore dell'opera. Ma se in quel romanzo esso si concretizzava attraverso un disturbo di personalità da manuale (con il protagonista letteralmente scisso in due, al punto da non riconoscere sé stesso nelle foto o nei video che gli venivano mostrati), qui si attua in un'impossibilità del lettore di capire se quanto avviene si sta svolgendo in una realtà artificiale creata ad hoc, oppure nel mondo vero (e qui, a qualcuno potrebbe tornare alla mente "Matrix"...). Il finale, ambiguo ed inquietante, è un invito rivolto al lettore a rileggere immediatamente l'intero libro con nuova consapevolezza.
Glen Runciter comunica con la moglie defunta per avere i suoi consigli dall'aldilà. Joe Chip scompare dal mondo del 1992 e si ritrova nell'America degli anni Trenta. Una trappola mortale ha annientato i migliori precognitivi del sistema solare. È in corso una lotta per scrutare il futuro, in un'impossibile dissoluzione del presente; mondi e tempi diversi fluiscono contemporaneamente, la vita si scambia con la morte. In "Ubik" Philip K. Dick affronta alcuni dei suoi temi più profondi: l'illusione che chiamiamo realtà, la mancanza di un tessuto connettivo e di un principio unificatore al di sotto dell'apparenza delle cose, il mistero di un Dio che tiene i dadi della vita e della morte. Scritto nel 1966 e pubblicato nel 1969, "Ubik" è una delle opere più sconcertanti e riuscite di Philip K. Dick. Per il suo dirompente surrealismo, per l'ironia e la passione con cui analizza la società umana, "Ubik" è un classico di quella letteratura che si spinge a esplorare i paradossi dell'esistenza con le armi della visione e della fantasia, di uno sguardo anarchico, insaziabile e curioso. Introduzione di carlo Pagetti.
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FedericaScerbo Scerbo 02 dicembre 2017
Uno dei libri di Dick che più mi è piaciuto e che pesso inserire nella mia TopTen personale. La fantasia dell'autore in questo libro si sbizzarisce, forse aiutata dalla enfatamine che Dick assumeva. I protagonisti di Ubik sono i dipendenti di un'agenzia di spionaggio industriale e ognuno di loro è dotato di un potere paranormale: telecinesi, preveggenza. Per motivi di lavoro tutti i protagonisti del libro insieme al loro capo si recano sulla Luna e lì saranno coinvolti nello scoppio di una bomba. Durante questo attentato il capo della ditta resta ucciso e i suoi dipendenti cercano di portarlo il più preso possibile sulla Terra per tenerlo in una condizione di semi-vita. Tale condizione, in questo caso, rappresenta lo pseudomondo inventato da Philip K. Dick. La cosa fantastica di questo romanzo, la cosa straordinaria che ha fatto si che Ubik fosse considerato il grande romanzo di Philip Dick è che per tre quarti di libro il lettore non riesce a capire davvero chi si trova in semivita e non si riesce a capire se ciò che vivono i protagonisti del romanzo sia la realtà o se vivono in uno pseudomondo.
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Ubik è un’opera che mischia elementi fantascientifici e futuribili con tensioni visionarie e religiose, opera più complessa di quel che appare ad una prima lettura e in cui Dick riesce a stemperare un diffuso senso di angoscia e pessimismo grazie ad alcuni momenti leggeri. Facile identificarsi con il protagonista, Joe Chip, e provare il suo senso di smarrimento di fronte al mondo che gli si sgretola tra le dita. All’avanzata inesorabile degli eventi c’è un solo rimedio: Ubik, che (a trovarlo) è un po’ ovunque (il corrispondente latino è ubique), forse è Dio, in ogni caso, quando finalmente lo si raggiunge bisogna ricordarsi di leggere le istruzioni e agitare bene prima dell’uso.
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