La lettura di "Vanità soldi fango" (Edizioni Giovane Holden, 2016), romanzo d’esordio di Alessio Castiglione, giovane autore siciliano classe 1994, mi ha fatto venire in mente Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde trasportato nello spazio e nel tempo nelle periferie degradate della Palermo di oggi. La lezione wildiana è che la bellezza è sempre colpevole, anche quando è inizialmente innocente, e che si può redimere solo nell’esser sfigurata e violata. Da una parte c’è un grande coraggio nel parlare senza remore di un argomento, nonostante tutto, ancora tabù come l’omosessualità e la prostituzione nel mondo del calcio in una città del meridione, dall’altro la freschezza e l’innocenza dei riferimenti antichi, classici e cristiani, che emergono continuamente nelle pagine che si leggono tutte d’un fiato. La trama è presto detta: il giovane calciatore Dario cede per vanità e denaro alle avances di Maurizio, il suo allenatore, in un crescendo di incontri furtivi, ipocrisia, pettegolezzi, scalata sociale ed economica fino al crollo psichico e somatico finale del bel protagonista. Il punto di partenza della vicenda è l’inaudita bellezza di Dario/Dorian, una grazia iperborea che rivela l’anima pagana dell’autore: anzitutto la descrizione della natura eccellente di Dario, che per uno strano miscuglio genetico viene fuori da una famiglia di pescatori dai tratti mediterranei; lui, diversamente dai suoi genitori, ha gli occhi verdi, i capelli corti biondi, è alto e muscoloso; una bellezza innocente e conturbante che è essa stessa la causa insieme della sua ascesa e della sua rovina; pagana è altresì la presenza costante della luna, antica divinità della notte, nume tutelare dell’androgino, che come un arcano padre/madre sembra vegliare dall’alto sugli atti nefandi di Dario che si compiono sempre di notte (ed è indicativo che la notte compaia tra i ringraziamenti finali). All’anima pagana si affianca immediatamente un’anima cristiana, già nella dinamica di innocenza, peccato, degradazione e redenzione. Vanità e soldi sono due dei vizi capitali, la vanagloria e l’avarizia, che fanno da dame di compagnia alla lussuria; ad essi si affiancano ben presto anche l’invidia degli altri per una bellezza che sembra promettere la felicità, e l’ira finale di Maurizio, per l’amore non corrisposto di Dario, una preda che si è trasformata in cacciatore. Il fango è eterna metafora della sporcizia dell’anima, ovvero del vizio: Maurizio gioca sporco e gli piace sporcarsi di fango: “Mi voleva sporcare. Mi voleva baciare”; ma anche Dario è un ragazzo che sa di fango. Ma che cos’è il fango? È una melma esterna che ci imbruttisce solo in modo posticcio e di cui ci possiamo facilmente lavare, con una doccia o una confessione per ritrovare la purezza? Oppure è la stessa materia di cui siamo fatti, humus che diventa homo, e di cui non ci possiamo liberare in alcun modo se non con la morte? Al fango di Dario sembrano contrapporsi quali concreta speranza solo il latte della madre e l’acqua battesimale del fratellino innocente. Il degrado delle periferie palermitane che fa da cornice alla storia potrebbe far sì che il romanzo di Alessio Castiglione venga letto come una Gomorra sicula: ma lo sguardo personale è sempre in primo piano rispetto al contesto sociale, che è pur sempre sullo sfondo; i gatti mangiano i topi di fogna come gli amanti “mangiano” i loro amati (li amano come i lupi amano gli agnelli, avrebbe detto Platone); ma in realtà non sono né gatti né lupi, bensì solo scarafaggi che si credono volpi; semmai è Dario un agnello, che crescendo diviene una pecora nera, in apparenza senza nemmeno un pelo nero. La speranza sta appunto in Andrea, il fratello minore di Dario che lo segue, lo ammira, lo imita, lo protegge, lo salva: se le nostre antiche radici ci narrano di fratricidi come origine di ogni vicenda storica (Caino e Abele, Eteocle e Polinice, Romolo e Remo), in questo romanzo l’amore fraterno sembra essere posto alla fine del dramma come unica possibile soluzione. “La vita è un dramma vestito da commedia, - scrive Alessio Castiglione - un curioso Shakespeare che gioca a obbligo o verità con Wilde”, una commedia dove però si ride amaramente solo per rendere ragione del prezzo del biglietto.
Vanità soldi fango
Dario è bellissimo. Giovanissimo, fisico atletico, occhi verdi. Ammirato, desiderato. Ma è anche povero, non si sente a suo agio in famiglia, neppure col fratello più piccolo che gli vuole invece bene e lo prende a modello. E allora ci vuole un attimo a lasciarsi andare, a ritrovarsi in un vicolo buio in attesa del prossimo cliente; un barbone a smistare le auto e a mettere in coda chi attende il proprio turno. Senza coinvolgimenti emotivi, solo per soldi, consapevole di essere il sogno di tutti. Ma è facile confondere il sesso con l’amore e l’amore malato può trasformarsi in ossessione. Vanità soldi fango è un romanzo breve scritto di notte e riletto per strada. È la storia di un disagio, che mette come centro la periferia, e come periferia il mondo. Si legge con la fluidità di poco inchiostro lasciato colare giù, verso il fondo. Leggendolo si deve stare attenti alle pagine, perché rischiano di ferire le dita e la morale. Protagonista è la classe più bassa della società, che si scava il fosso e si nasconde di notte. Dario in questo buio scenario è solo una comparsa, sarà lui a di-mostrare la vanità che si trasforma in adulterio e i soldi che diventano fango; così: quasi senza volerlo. Un esordio letterario straordinario.
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Lingua:Italiano
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