Ne «Le vespe» gli strali di Aristofane sono diretti alla cattiva amministrazione della giustizia ateniese e al fiorire incontrastato di processi nei quali la ragione era troppo spesso dalla parte di accusatori pronti a ungere gli ingranaggi della giustizia con bustarelle. I personaggi presi (e persi) in quella spirale risultano del tutto inetti a condurre una normale vita sociale: tolti dal loro contesto giuridico sono peggio che pesci fuor d'acqua. Anche gli stessi ateniesi sono nel mirino del commediografo, sempre pronti a litigare tra loro e a rivolgersi a tribunali composti in grandissima parte da vecchi, a causa dell'interminabile guerra del Peloponneso che aveva decimato la gioventù greca. I vegliardi, investiti di un ruolo che permette loro di «pungere» ancora piuttosto che sentirsi inutili, sono loro malgrado strumenti di una mala amministrazione che tenta di dare il contentino a cittadini che hanno perso la trebisonda. Anche qui, dietro la farsa e il linguaggio triviale e sboccato, si cela lo specchio di tempi nefasti, il preludio a quella fine che, entro qualche secolo, porterà Atene ad essere un'oscura cittadina di periferia.
