Vivi e lascia morire
L’occasione poetica sgorga dall’entusiasmo d’una nuova amicizia. La dedicataria di Vivi e lascia morire è penna che non stenterà a emergere e scalare ogni vetta, nonché una preziosa consolatrice e consigliera eclettica. Il miracolo avviene attraverso il filtro d’un telefono che, da strumento di tortura, si fa tramite indispensabile a colmare la distanza. Si susseguono dieci frenetici giorni primaverili in cui Luca Perrone si scortica le mani in una solitaria standing ovation a Dioniso e al Caos. Le uniche pause, gli unici intervalli che si concede, le sobrie apollinee apparizioni, che getta su carta, sono le disciplinatissime ore dedicate alla stesura di trenta dei trentatré componimenti della silloge. Solo tre delle trentatré poesie hanno infranto una regola personale: sono state scritte in stato d’ebbrezza e appartengono alla sezione “Vivi e lascia morire. Sbronzo”. Non si tratta di poesia intima e impellente, di sfogo personale, di ritagliare uno spazio d’espressione lirica in una vita altrimenti comoda e inalterabile: Vivi e lascia morire è il messaggio nella bottiglia; il poeta si è dedicato ai versi col bisturi e la mano ferma, il cervello acceso e vorticosamente in cerca di lemmi da sventagliare con un mitra cordiale ma letale. Questo libro è “una vera miniera di immagini, idee ed emozioni”. (Francesco Improta) È “un lavoro equilibrato nei ripetuti sforzi di irretire affinché tutto esploda con più efficacia; nelle paure che vengono esibite e minacciate; nel tentativo, riuscito, di spaccare e curare, di curare spaccando, ponendo scortesi questioni ma infine lasciandole grammaticalmente e retoricamente aperte”. (Gianluca Paciucci) “Caro Luca Perrone, finalmente ho letto il suo testo, con la magnifica premessa di Francesco Improta, il cui discorso critico condivido in pieno. Le mando i miei migliori in bocca al lupo per l’uscita del libro, che contiene poesie originali, vitali, pervase di una multiforme malattia delle cose e dell’anima, a volte oscure, sempre lancinanti, di cui si vede quanto siano scavate nella carne e necessarie. Grazie di avermele fatte leggere e un saluto molto cordiale”. (Giuseppe Conte)
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