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È un eccellente lavoro questo di Lorenzo Montanari, in quanto riporta all’attenzione, non solo dei bambini, ma anche degli adulti, le famose Fabulae di Caio Giulio Fedro, vissuto fra la fine dell’ultimo secolo a.C. e la metà del primo secolo d.C., epoca quindi particolare che vide imperatori quali Augusto e Tiberio. Non tutto ci è pervenuto della produzione di questo favolista, che trae ispirazione dal grande Esopo, ma con una più completa proprietà letteraria, raccontando con versi senari, senza tuttavia perdere di vista la semplicità dello stile volto a dare immediatezza al concetto esposto. Montanari, che è un bravo traduttore dal latino (ricordo al riguardo La guerra gallica e La guerra civile, di Giulio Cesare, già oggetto di mie recensioni), nel proporci le favole di Fedro, ce le ri-racconta con un linguaggio più adatto ai giorni nostri e anche con un adattamento più idoneo per essere comprese nel loro effettivo significato dai bambini. Il ricorso alla metafora è d’obbligo e Fedro qui eccelle nel porgerci le sue creazioni, a volte brevissime, ma sempre precedute o seguite da sue riflessioni, che si concretizzano in un rapido giudizio morale. I difetti degli uomini sono quasi sempre portati alla luce da animali, scelti non a caso in base alle loro caratteristiche che ben si adattano alla vicenda, e se le bestie-personaggi fanno sorridere, è però altrettanto vero che riconoscere nel loro comportamento eventuali nostri difetti ci induce maggiormente a meditare, magari a una riflessione volta, almeno nelle intenzioni, a sanarli. Comunque, credo che più delle mie parole valga l’esempio e allora di seguito ne riporto una, breve e famosa: La montagna partorisce un topolino: “ Una montagna stava per partorire e, per questo, lanciava grida altissime. Giù, sulle pianure, l’attesa era febbrile. Ma dopo tanti lamenti, urla, tremiti della terra…alla fine, venne fuori solo un allegro topolino. Tutto qui! Questa favoletta l’ho scritta per tutti quegli uomini che, pur facendo un gran baccano con urla e minacce, non cavano fuori un bel niente dal loro assurdo e prepotente mettersi in mostra.” Come avrete capito l’intento didascalico è precipuo, ma non è sterile insegnamento, bensì è finalizzato a un piacevole apprendimento che nell’antica Roma non era riservato solo ai bimbi, ma soprattutto agli adulti. Visti i tempi che corrono credo proprio che anche questo libro debba essere letto da non pochi uomini, soprattutto quelli che reggono le sorti del paese, nella speranza che un’improvvisa, quanto mai necessaria illuminazione, li faccia ravvedere. In ogni caso la lettura non potrà che risultare piacevole e senz’altro educativa, a conferma dell’antico concetto secondo il quale ciò che si studia con divertimento si apprende meglio.
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