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Storia di un amore intenso e fugace vissuto sullo sfondo delle proteste studentesche di fine anni ‘60. Le vite di due giovani, Mark e Daria, s’incrociano a Zabriskie Point, nel più profondo deserto californiano. Il primo è un ribelle in fuga da Los Angeles, la seconda è una giovane segretaria d’azienda. Così diversi eppure così simili, i due non possono fare a meno di attrarsi. Il ritmo ansante che s’impossessa del film sin dalle prime sequenze sembra suggerirci che i protagonisti stanno avviandosi verso un finale tragico ma ineluttabile, logica conseguenza di una società spietata che cerca e condanna i suoi capri espiatori. La scena finale vale poi da sola la visione del film…ma, perdonatemi, raccontarla sarebbe un vero delitto. Inno anti - capitalista (Elogio della lentezza) firmato dal monumentale Michelangelo Antonioni, Zabriskie Point è una pellicola colma di rabbia e sdegno, sognante e cupa al tempo stesso, accompagnata da una colonna sonora coinvolgente (Pink floyd su tutti) e da una fotografia che emoziona. Film cult.
Fuga, scelta individuale, amore, consumismo e morte. I temi cari ad Antonioni sono tutti miscelati con perfetto dosaggio in "Zabriskie point", manifesto di un’utopica sconfitta della società dei consumi. Il regista, abbandonata ogni confidenza con il carrello, pianta la cinepresa distante dagli avvenimenti, lontana dai personaggi, ponendo maggiormente l’accento nel rapporto tra piccolo e grande, tra individuo e mondo. Il deserto come metafora del vuoto nel quale gli incontri hanno un significato particolare, si oppone nella seconda fase del film alla città che occupa invece tutta la prima parte, descritta solo attraverso le inquadrature d’insegne pubblicitarie, per la verità inquadrate con la stessa volontaria caoticità visiva usata nella sequenza con la quale si apre il film, durante una riunione del collettivo universitario, anche questo come gran supermercato delle idee collettive dal quale Mark si allontana.
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