Irriverente, umoristico, assurdo, paradossale. Linguaggio arcaico, molto forbito, ricercato e curatissimo. In questo libro, Landolfi ricorda, per certi versi, Ionesco. Racconti tanti, brevi romanzi, poesie e diari, opere teatrali, poemi drammatici, traduzioni, prose di viaggio e di critica letteraria, filastrocche e favole: il genio di Landolfi è versatile e inesauribile. Questo libro, tra le ultime sue invenzioni, ennesima variazione sul tema, è un'opera costruita prevalentemente sui dialoghi. Pure Landolfi riesce, con così relativamente poco e procedendo, come dice il titolo "a caso", in una sorprendente quanto inutile (secondo giudicheranno i più) festa delle parola. Libro di racconti non tutti memorabili magari. A gusto di chi scrive "Un petto di donna" e il più lungo del racconti che apre e battezza la raccolta sono tra i migliori, insieme al breve e efficace "Osteria del numero venti" e al notturno "Milano non esiste". Spesso il filo tematico si svolge a partire da un turbamento sensuale, scaturisce da un caso che suscita sentimenti contrastanti di attrazione e repulsione. Landolfi è Landolfi, anche se questo forse non è il suo capolavoro, però ne consiglio assolutamente la lettura.
A caso
Non è amabilmente consolatore, il mondo di Landolfi, né amichevole, né tantomeno compiacente. Estraneo, piuttosto, luminosamente torbido e degradato. E, come in questa raccolta di racconti del 1975 – l'ultima sua –, più che mai urtante, percorso com'è da un eros luttuoso e sogghignante, da orride agnizioni, da avvilenti confessioni, da personaggi oltraggiati dalla vita, feriti dall'«invalicabile stridore» che li separa dagli altri, torturati da un'animale e irrimediabile tristezza. Sicché ogni racconto cela una sorpresa che ha su di noi lo stesso effetto di «un'unghia che stride contro un vetro, o d'una carezza contropelo» (I. Calvino): ci fa rabbrividire, e subito vorremmo scacciarla. Invano: incapsulata in una lingua tanto inconsueta quanto secca, lucida ed esatta, ogni immagine torna a riaffacciarsi, come una piccola testa malevola. Il fatto è che per Landolfi, uccisa ogni speranza, dobbiamo accontentarci «di gioie ambigue, torte e per giunta fuggevoli». Non c'è altra via di scampo, se non, estremo rimedio, un «genosuicidio» capace di liberarci da una «abominosa storia».
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