La storia di Tomasi di Lampedusa raccontata in modo intimo e originale, in un'altalena tra infanzia e maturità che rendono questo romanzo delicato, uno dei piu bei testi che ho letto negli ultimi anni.
L' albatro
Nato a Palermo nel 1896, da una nobile famiglia siciliana, Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un bambino solitario, uno di quelli che preferiscono «le cose alle persone» e che rifuggono la compagnia. Un giorno, dal nulla, nella sua vita arriva Antonno: un bambino bizzarro, «tutto al contrario»: se sfoglia un libro comincia dall’ultima pagina, se vuole andare avanti cammina all’indietro e conta al contrario, provando una infinità pietà per gli zeri. Per tutto il tempo della loro convivenza non c’è verso di fargli iniziare la settimana di lunedì o di togliergli dalla testa che si nasce morendo. Eppure Antonno, «l’albatro», come lui stesso si definirà (tenacissimo, l’albatro non abbandona il capitano nemmeno nella disgrazia) è l’unico spiraglio di luce in un’esistenza altrimenti buia e solitaria, l’unica compagnia di un bambino che vede e sente più degli altri, dotato di una sensibilità particolare, che lo porterà un giorno a diventare uno dei più grandi scrittori del Novecento. Ma all’improvviso, così come è arrivato, Antonno svanisce. Divenuto adulto, Giuseppe partecipa alla guerra del 1915-18 come ufficiale, rimanendo nell’esercito fino al 1925; dopodiché si ritira a vita privata, viaggiando e dimorando per lunghi periodi all’estero, dove si dedica alla stesura di saggi e racconti che non darà alle stampe. Sarà solo quando metterà mano a una storia che cova dentro di sé da tempo, e che ha intenzione di intitolare Il Gattopardo, che Antonno tornerà da lui, e con il suo modo di fare al rovescio accenderà in Giuseppe Tomasi la consapevolezza che «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
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Lingua:Italiano
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letturesullaluna 27 giugno 2023Un libro commovente
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Palermo, inizi del ‘900: il piccolo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore de “ Il Gattopardo”, abita nel sontuoso palazzo di famiglia con ‘ il padre ‘ e ‘ la madre ‘, appellativi con cui lo stesso Tomasi si riferisce ai suoi genitori nelle pagine del romanzo, e alcuni membri della servitù. La storia si svolge a capitoli alterni, lo scrittore è l’io-narrante: l’uno è il racconto della sua vita passata mentre è ricoverato in una clinica a Roma poco prima di morire, l’altro sono le pagine del diario che lui riempie, sempre nei suoi ultimi giorni, sollecitato dalla moglie Licy a “scrivere del tempo felice”. Giuseppe è abituato a vivere in mezzo agli adulti; tuttavia quando un giorno si trova a tu per tu con un bambino sconosciuto, Antonno, del quale non sa nulla e nessuno gli ha detto chi fosse, non esita a farlo entrare nella sua stanza, a fargli conoscere l’immenso palazzo, a renderlo partecipe delle sue giornate. Antonno è strano, “ tutto al contrario “, parte dalla fine per arrivare all’ inizio, pensa che il cielo sia il mare rovesciato e viceversa, è sicuro che si nasca morendo. I due bambini condividono tutto, cercano di capire il mondo dei ‘grandi’, i loro silenzi e i loro segreti, sperimentano avventure ( quasi ‘di formazione’ quella che ha per protagonista la “ donna di fuora “ della compagnia di attori girovaghi che si ferma per il suo spettacolo misterioso nella tenuta di Santa Margherita Belice, casa natale materna e luogo di villeggiatura estiva); in tutto ciò sono sempre insieme perché Antonno ha deciso che per il “principuzzu” sarà l’albatro, non lo lascerà mai, col tempo buono e col tempo cattivo, come l’uccello che segue e non abbandona per nessun motivo la nave e il suo capitano. La vita porterà Giuseppe a partecipare ai due conflitti mondiali, a sposarsi, a scrivere il suo capolavoro, nella stesura del quale c’è si tanto della sua famiglia ma ha un peso anche il ‘ ritorno ‘ di Antonno: chiudendo il diario le sue ultime parole sono “ Più che l’artiglio del gattopardo, adesso è l’albatro a soccorrermi nella notte “. C’è molto in questo romanzo: c’è la Sicilia “ indiscutibilmente la terra delle madri “, c’è la forza delle parole che “ servono a resistere ancor prima che a rivelare “, c’è il rapporto a volte travagliato con la moglie Licy alla quale confessa “ Ti offro ciò che chiunque altro rifiuterebbe. Cerco di convincerti con la sconfitta “, c’è la visione dell’amore di Antonno “ L’amore per lui non era sentire. Era mantenere le promesse “, c’è la comunanza dello scrittore con il suo Gattopardo “ Decisi che avrei dato la morte al principe di Salina in un mese abbagliante, quello di luglio, e scrissi le pagine del suo trapasso pensando che anche io avrei fatto lo stesso “. Ma soprattutto c’è lo stile sopraffino di Simona Lo Iacono, fatto di parole musicali ( runculiava.. magarìe..sfagliava.. tramestuliava..scarruffata ), aggettivi e verbi lussureggianti e sensoriali che rimandano ai colori, ai suoni, ai sapori della Sicilia e a quel mondo nel quale Giuseppe non ha potuto fare a meno di Antonno, che fino all’ultimo ha prestato fede alla sua promessa di essere “ L’albatro “.
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