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Facendo propria l'idea che il destino di ogni adulto vada cercato nei suoi sogni di bambino, Simona Lo Iacono tratteggia, con sontuosa eleganza, il ritratto di una delle più importanti figure della letteratura italiana, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scrittore dalla complessa personalità e autore del celeberrimo «Il Gattopardo».
«L’albatro è insieme autobiografia romanzata, educazione sentimentale, affresco del mondo dell’aristocrazia siciliana ormai al tramonto, rievocazione magica e poeticissima dell’infanzia, storia della genesi di un capolavoro e celebrazione del potere della parola, indispensabile a "esistere, ancora prima che a rivelare"» - Marzia Fontana, La Lettura
«Una scrittrice di incantesimi e malie» - Avvenire
«C'è una risposta alla morte, ed è la poesia. C'è un rimedio al tempo, ed è la scrittura»
Palermo, 1903. Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un bambino solitario e contemplativo, uno di quelli che preferiscono «la stranezza delle cose alle persone», avendo «per compagnia solo il silenzio». Figlio unico di una nobile famiglia siciliana, vive nello sfarzoso palazzo di via Lampedusa, circondato unicamente da adulti, dei cui discorsi, tuttavia, capisce ben poco. Un giorno, nella sua vita, arriva Antonno: nessuno si prende la briga di presentarli e i due bambini si ritrovano all'improvviso l'uno dinnanzi all'altro, Giuseppe con il completo all'inglese in gabardine blu, i pantaloni sotto il ginocchio e il gilet bordato di seta. Antonno con la camicia arrotolata, di due misure più grande, le scarpe estive, i calzettoni invernali e in testa una paglietta bucata sulla punta. È un misto di stagioni e taglie sbagliate, Antonno, un bambino «tutto al contrario»: se sfoglia un libro comincia dall'ultima pagina, se vuole andare avanti cammina all'indietro e non c'è verso di fargli iniziare la settimana di lunedì o di togliergli dalla testa che si nasce morendo. Giuseppe non sa nulla del passato di Antonno, né tantomeno i motivi per i quali gli sia stato messo accanto. Sa però che Antonno non è come gli altri bambini e che la fedeltà che dimostra nei suoi confronti è pari solo a quella dell'albatro: tenacissimo, l'albatro non abbandona il capitano nemmeno nella disgrazia, seguendolo nella buona e nella cattiva sorte. Da quel momento, non c'è avventura, per quanto discutibile, in cui Antonno non lo affianchi. E non c'è notte in cui non vegli su di lui, come un fedele custode. Fino al giorno in cui, all'improvviso, così come è arrivato, Antonno svanisce. Divenuto adulto, Giuseppe partecipa ai due conflitti mondiali; dopodiché si ritira a vita privata, viaggiando e dimorando per lunghi periodi all'estero, dove conosce Alexandra Wolff, detta Licy, che diverrà sua moglie, e dove inizia a confrontarsi con i grandi della letteratura europea. Saranno questi viaggi a portarlo a cimentarsi, quasi alla fine della sua vita, nella stesura di un romanzo ispirato alla figura del bisnonno paterno Giulio Fabrizio, l'astronomo, il sognatore. Un romanzo che avrà per protagonista un personaggio fugace, un nobiluomo colto e malinconico che perde il suo sguardo nel cielo per fuggire la terra: si intitolerà Il Gattopardo e, dopo lunghi anni, ricondurrà da lui Antonno e la sua visione rovesciata del mondo.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La storia di Tomasi di Lampedusa raccontata in modo intimo e originale, in un'altalena tra infanzia e maturità che rendono questo romanzo delicato, uno dei piu bei testi che ho letto negli ultimi anni.
Palermo, inizi del ‘900: il piccolo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore de “ Il Gattopardo”, abita nel sontuoso palazzo di famiglia con ‘ il padre ‘ e ‘ la madre ‘, appellativi con cui lo stesso Tomasi si riferisce ai suoi genitori nelle pagine del romanzo, e alcuni membri della servitù. La storia si svolge a capitoli alterni, lo scrittore è l’io-narrante: l’uno è il racconto della sua vita passata mentre è ricoverato in una clinica a Roma poco prima di morire, l’altro sono le pagine del diario che lui riempie, sempre nei suoi ultimi giorni, sollecitato dalla moglie Licy a “scrivere del tempo felice”. Giuseppe è abituato a vivere in mezzo agli adulti; tuttavia quando un giorno si trova a tu per tu con un bambino sconosciuto, Antonno, del quale non sa nulla e nessuno gli ha detto chi fosse, non esita a farlo entrare nella sua stanza, a fargli conoscere l’immenso palazzo, a renderlo partecipe delle sue giornate. Antonno è strano, “ tutto al contrario “, parte dalla fine per arrivare all’ inizio, pensa che il cielo sia il mare rovesciato e viceversa, è sicuro che si nasca morendo. I due bambini condividono tutto, cercano di capire il mondo dei ‘grandi’, i loro silenzi e i loro segreti, sperimentano avventure ( quasi ‘di formazione’ quella che ha per protagonista la “ donna di fuora “ della compagnia di attori girovaghi che si ferma per il suo spettacolo misterioso nella tenuta di Santa Margherita Belice, casa natale materna e luogo di villeggiatura estiva); in tutto ciò sono sempre insieme perché Antonno ha deciso che per il “principuzzu” sarà l’albatro, non lo lascerà mai, col tempo buono e col tempo cattivo, come l’uccello che segue e non abbandona per nessun motivo la nave e il suo capitano. La vita porterà Giuseppe a partecipare ai due conflitti mondiali, a sposarsi, a scrivere il suo capolavoro, nella stesura del quale c’è si tanto della sua famiglia ma ha un peso anche il ‘ ritorno ‘ di Antonno: chiudendo il diario le sue ultime parole sono “ Più che l’artiglio del gattopardo, adesso è l’albatro a soccorrermi nella notte “. C’è molto in questo romanzo: c’è la Sicilia “ indiscutibilmente la terra delle madri “, c’è la forza delle parole che “ servono a resistere ancor prima che a rivelare “, c’è il rapporto a volte travagliato con la moglie Licy alla quale confessa “ Ti offro ciò che chiunque altro rifiuterebbe. Cerco di convincerti con la sconfitta “, c’è la visione dell’amore di Antonno “ L’amore per lui non era sentire. Era mantenere le promesse “, c’è la comunanza dello scrittore con il suo Gattopardo “ Decisi che avrei dato la morte al principe di Salina in un mese abbagliante, quello di luglio, e scrissi le pagine del suo trapasso pensando che anche io avrei fatto lo stesso “. Ma soprattutto c’è lo stile sopraffino di Simona Lo Iacono, fatto di parole musicali ( runculiava.. magarìe..sfagliava.. tramestuliava..scarruffata ), aggettivi e verbi lussureggianti e sensoriali che rimandano ai colori, ai suoni, ai sapori della Sicilia e a quel mondo nel quale Giuseppe non ha potuto fare a meno di Antonno, che fino all’ultimo ha prestato fede alla sua promessa di essere “ L’albatro “.
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