Per mano di un fine narratore e esploratore della lingua qual è Domenico Vuoto, la “gattità” entra ancora una volta «scontrosa, sdegnosa, timida» nella poesia italiana. Alla sua gatta il poeta parla: l’amata, «dritta sul pavimento ascolta / – intenta – però alla lunga sbadiglia, serra gli occhi, li / schiude per richiuderli ancora». Silenziose «solitudini intrecciate» hanno cucito questo libro, vero e la sua parte inventato, creato; da farci credere che anche la gatta lo abbia vergato, forte del «sacro dono dell’invisibilità». Chi scrive non è mai solo, sempre uno scrittore ha con sé una folla di anime. Ma una soltanto è qui, lo accompagna come suggeritrice: dai suoi nascondigli, la gatta ladra di oggetti numinosi e quotidiani dal «tavolo di lavoro». Il dettato in versi inevitabile, una calma «irridente / impudenza» inonda oggi la forma di quest’opera, «due lame / d’occhi» ci fissano dal lume di ogni pagina.
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Anno edizione:2024
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