Correva l'anno 2000, il 14 febbraio per la precisione, quando Robert Smith e i suoi Cure licenziarono "Bloodflowers", che sulla carta doveva costituire la chiusura ideale di una trilogia aperta con "Pornography" del 1982 e continuata nell'89 dal campione di incassi "Disintegration". Contraddistinto per la lunghezza media sopra i cinque minuti di ogni canzone, ad eccezione di "There Is No If...", e dal fatto che non venne scelto nessun brano come singolo per il lancio, il disco, ingiustamente non riusci ad ottenere la giusta attenzione. A distanza di sedici anni e alla luce del successo che la riproposizione in sede live di canzoni quali "Bloodflowers", "Out Of This World" e "The Last Day Of Summer", continuano ad avere, questo episodio discografico dei Cure deve essere considerato come tra i migliori partoriti da Smith. Imprescindibile per ogni amante della buona musica.
Bloodflowers
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Stefano Magni 21 novembre 2016
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"Bloodflowers" tenta di riallineare l'immagine passata del gruppo con le sue più recenti evoluzioni stilistiche; le atmosfere distese, languide e autocontemplative ("Out Of This World") connotano un'opera di impronta autobiogafica in cui il basso profilo mantenuto sembra più rispondere ad una esigenza di veloce restyling del cut-up (e di marketing), non essendo ancora spentosi l'abbacinante e contraddittorio clamore colourful di "Wild Mood Swings". L'obiettivo però viene parzialmente mancato: l'impressione di rinnovamento è superficiale. E si rafforza ascoltando tre episodi "extra" in cui lo stesso Smith dichiarerà che le linee creative del disco erano in origine completamente differenti: "Coming Up" (edizione per Australia e Giappone), "Possession" e (forse come outtake) "Signal To Noise" sono sagomate sull'incontro finalmente collaudato e funzionale ritmiche electro, sound chitarristico e intuizioni "spaziali"; ciò che nell'album, praticamente affiora soltanto da un episodio: "39", contraltare biografico di "Disintegration", potente, limpida, brillantemente suonata soprattutto nelle parti di basso. Il resto, per motivi ancora una volta sfuggenti (nella scelta discutibile dei brani anche del precedente lavoro si ascoltino i B-sides dei singoli) è solo, purtroppo "un effetto di breve durata".
Disco 1
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