Un crescendo di pensieri del protagonista che mescola istinto, gelosia e volontà di possesso. Un racconto che ti travolge e trascina fino al finale, amaro e cupo come il sentimento che vive il protagonista in ogni pagina.
La porta
«Era possibile che per tutti quegli anni lei fosse stata felice con lui, e che lo fosse ancora?». Stenta a crederlo, Bernard Foy, e non solo perché ha perso entrambe le mani saltando su una mina e non si sente più un vero uomo, ma perché di uomini sua moglie Nelly, che del proprio passato non gli ha nascosto nulla, ha sempre avuto bisogno. Da vent’anni loro due si amano con lo stesso trasporto e la stessa urgenza di quando si sono conosciuti. Eppure Bernard, che passa le sue giornate a spiare le vite degli altri dalla finestra, ad ascoltare i rumori del palazzo e del quartiere, e soprattutto ad aspettare che lei torni dal lavoro, è tormentato dalla gelosia per la vita, di sicuro «più animata, più appassionante», che la moglie conduce fuori casa, e dal bisogno di sapere in ogni momento dove lei sia e che cosa stia facendo: tanto che la sua assenza gli provoca un acuto malessere fisico. Un malessere che è sensibilmente peggiorato da quando Nelly sbriga piccole commissioni per un giovane illustratore che la poliomielite ha inchiodato su una sedia a rotelle e che si è trasferito al primo piano del loro stesso palazzo. E poi, nonostante l’età, lei sembra ogni giorno «più bella, più desiderabile», il che colma Bernard di un’insostenibile angoscia: come non sospettare che si tratti di quella «luce particolare» che emana dal volto di una donna innamorata? A poco a poco, Bernard non farà altro che pensare alla porta dell’appartamento del primo piano, dove lui non è mai entrato, che non è mai riuscito neanche a intravedere... Nessuno come Simenon è capace di compiere, trascinando con sé il lettore, una simile, implacabile discesa nella mente di un uomo dominato dalle sue ossessioni – ossessioni che non potranno che portare a un epilogo fatale.
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MariannaBo 22 luglio 2025Gelosia e istinto
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Renzo 14 luglio 2025Gelosia
La gelosia è un’ emozione che può assumere diverse sfumature, da un inconscio timore a una vera e propria ossessione, ed è quest’ultima il tema di La porta, un romanzo abbastanza breve scritto da Georges Simenon forse in uno dei rari periodi insoddisfacenti. L’idea è indubbiamente buona,perché ha per oggetto le paure di un uomo che si sente a metà dopo che in guerra ha subito l’amputazione di entrambe le mani e che soprattutto per questa sua menomazione diffida della moglie che è sempre stata ambita da altri uomini; la realizzazione, però, con il passaggio da uno stato di incertezza a una certezza del tradimento frutto di una paranoia ossessiva non è reso al meglio. In particolare il narratore belga trascina la vicenda eccessivamente, nel senso che si dilunga, a mio parere, senza necessità. Del resto immagino lo scrittore seduto al suo tavolo di lavoro, con la pipa eternamente in bocca, che gigioneggia, butta giù una riga, rilegge, gli sembra poco, ne aggiunge altre due, compiacendosi oltre misura di quanto sta realizzando. Eppure, di tanto in tanto, riaffiora la grande classe di Simenon, come quando scrive del respiro della sera o mette a nudo, non solo idealmente, i due protagonisti, uno di fronte all’altro, in una reciproca confessione che anziché attenuare l’ossessione di lui finisce per accentuarla, trasformandola in una accettazione colma di riserve. E’ indubbio che le notorie capacità di sondare psicologicamente gli animi qui trovino il terreno ideale, però resta il fatto che in certi momenti l’atmosfera che da inerte diventa cupa finisce piano piano per soffocare l’attenzione del lettore, fatto di cui si doveva esser reso conto Simenon al punto di ideare una soluzione finale del tutto sorprendente in un romanzo che non è certamente di genere, cioè né noir, né poliziesco, ma che forse almeno nelle intenzioni avrebbe dovuto avere quella tensione che caratterizza un’azione delittuosa.
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Claudio B. 02 gennaio 2025Solita conferma
Tra i più amari e forse profondi romanzi di Simenon, questo conferma ancora una volta come il grande scrittore belga si ponga nella scia di Shakespeare o di Dostoievski quanto a scavo nelle profondità dell'animo umano, fino ad entrare in contatto con pulsioni e sentimenti che cerchiamo sempre di nascondere a noi stessi. Quella parte torbida che a volte emerge solo in sedute psicoanalitiche, tanto è il terrore di venirne a contatto, o il senso di colpa quando ce la troviamo dinanzi alla coscienza. Il finale assolutamente imprevedibile (e terribile) rende questo romanzo tra i suoi migliori e più originali, un po' lontano dai suoi consueti e pur notevoli ambiti noir.
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