In Campo di pietra, Jansson costruisce un romanzo sobrio e delicato, in cui la parola e il suo uso corretto diventano il perno centrale. Jonas, scrittore vedovo e solitario, si rifugia sulle isole Åland con l’intento di lavorare alla biografia di un magnate dei media, un uomo che disprezza profondamente e che incarna tutto ciò che per lui è corruzione linguistica. Jonas ha dedicato la vita alla precisione del linguaggio, alla ricerca della parola giusta, inscalfibile e chiara. Ora, le parole sembrano sfuggirgli e la scrittura, più che un atto creativo, diventa una prigione. La stessa ossessione che lo ha reso un professionista rigoroso, lo ha reso anche un uomo difficile e distante, incapace di vera intimità: con la moglie, con gli amici che non ha più, e soprattutto con le figlie, Karin e Maria, che ancora cercano un contatto con lui. Jansson ci mostra Jonas come un uomo tipico del suo tempo, segnato dalle ferite della guerra e da un’educazione che non gli ha mai insegnato a comprendere o esprimere le emozioni. È abituato a farsi servire, sminuisce le donne della sua vita, ha un rapporto superficiale con le figlie; ma durante la vacanza qualcosa si incrina: l’osservazione attenta della quotidianità, l’ascolto e l’attenzione aprono uno spiraglio di comprensione verso se stesso e gli altri. Campo di pietra è un romanzo breve, ma denso. Ogni personaggio sembra rotolare, come le pietre del campo dietro la casa estiva, in cerca di una posizione stabile, senza mai trovarla, ma sempre onestamente provandoci. Jansson non fa prediche, ma accompagna il lettore con grande fiducia nella sua intelligenza, lasciandogli il compito di osservare, intuire, leggere tra le righe. La forza del romanzo sta proprio in questo: nel mostrare e non spiegare, nell’arte sottile di costruire personaggi vividi, fatti di luci e ombre, con rapide pennellate date con la vera maestria della parola.
Campo di pietra
Dall'autrice del Libro dell'estate uno straordinario romanzo sulla scrittura, il linguaggio e le parole.
Per il giornalista Jonas, una breve vacanza con le figlie tra i boschi, il mare e le pietre brulle delle isole Åland è un'occasione per lavorare in pace alla biografia di un detestato magnate dei media chiamato semplicemente «Y»: vero e proprio corruttore di parole, pronto a usarle per creare scandali e facile patetismo, è la nemesi di Jonas, che per tutta la vita le ha curate, perché fossero sempre chiare, aderenti ai fatti, inscalfibili, come la pietra del misterioso campo dietro la casa estiva. Eppure, come il campo, quell'ossessione per la parola rischia di diventare arida e sterile: ha ormai allontanato Jonas dalla famiglia e dagli altri, che lui ha sempre vessato perché fossero precisi e non si ripetessero. Vedovo, con la moglie aveva già rotto da tempo, di amici non ne ha e solo le due figlie, Karin e Maria, cercano ancora di avvicinarlo, invitandolo in vacanza con loro. E se in quei giorni non riesce a scrivere come vorrebbe, una quotidianità più leggera e più semplice può comunque aiutarlo a schiarirsi le idee, a interessarsi finalmente alla sensibile Maria, a trovare spazio per l'amicizia dopo una vita in isolamento. Il manoscritto della biografia che si porta sempre dietro diventerà così lo specchio in cui osservare se stesso, i propri errori e i propri fallimenti, per provare, tardivamente e senza sapere come, a fare ammenda. Identificandosi con lo sguardo del suo protagonista, Tove Jansson racconta della solitudine degli scrittori e della vocazione che si fa ossessione, della ricerca delle parole più giuste e della lotta contro il loro abuso.
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Anno edizione:2022
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Pagine_e_inchiostro 08 maggio 2025Campo di pietra
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LuigiAmendola 13 luglio 2024Le parole come pietre
Jonas è un giornalista in pensione. Vedovo, già si era separato da anni dalla moglie e continuava a vedere lei e le due figlie per la maggior parte durante i pranzi della domenica. Egli per tutta la vita ha provato a usare "bene" le parole - esercizio quanto mai difficoltoso in una professione come la sua -, a farle essere specchio della realtà; ora si trova invischiato nell'ingrato compito di scrivere la biografia di un magnate dei media (a lui inviso e chiamato solo "Y", lettera che egli odia) che invece della parola distorta ha fatto la sua fortuna. Jonas è invitato dalle figlie Karin e Maria a trascorrere con loro le vacanze estive nella casa che hanno affittato dal solito locatario, ormai loro conoscenza di vecchia data ma da sempre antipatico al burbero padre. Durante questa vacanza l'ossessione di Jonas per Y crescerà al parossismo, fino a che si renderà conto che quell'odio in realtà è diretto verso sé stesso: padre assente, marito sdegnoso, schiavo del lavoro. Egli si rende conto di non avere quasi ricordi delle figlie, non sa neppure che lavoro facciano, e, quando prova ad interessarsi a loro, i suoi tentativi risulteranno abbastanza goffi. Farà la conoscenza del droghiere locale, una persona che se dovesse scegliere un aggettivo per definirsi, probabilmente userebbe "easy going", nel suo slang fuori posto. E finalmente Jonas, dopo una battuta di pesca con costui, comprende ciò che diceva la sua defunta moglie: che le cose possono essere sempre più semplici di così. Quelle parole che ha usato per tutta la vita, cercando di farle aderire sempre al vero, ora si sono consunte a forza di abusi, quella accuratezza semantica tanto perseguita le ha svuotate di qualsivoglia senso, come il rotolare e lo sbattere di quelle pietre nel campo vicino casa mentre lui le sposta come una specie di nordico Sisifo, ma che ha, forse, ancora una possibilità di redenzione.
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Angelo 26 ottobre 2023Non eccelso, credo
La storia di un uomo tutto concentrato sul suo lavoro e sull'importanza delle parole al punto da trascurare il rapporto con i suoi familiari. I temi ci sarebbero ma il racconto mi è sembrato povero e mi ha lasciato il dubbio che possa essermi passata sotto gli occhi un'ottima storia senza che io l'abbia saputa riconoscere.
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