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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 1998
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Particolare spessore umano rivelano le figure deboli della vicenda, gli “umiliati e offesi”: il vecchio giudice minuto, pacato e raffinato, col suo carico di gravosi segreti e il suo straziante amore per la figlia malata di mente; quest’ultima, schizofrenicamente divisa tra il pianoforte e una frotta di amanti occasionali; e la piccola cameriera disperatamente affamata di amore e di sicurezza. Ma la caratterizzazione più memorabile resta senz’altro quella dei due anziani coniugi Hulot (cognome davvero beneaugurante in fatto di personaggi, dalla Cousine Bette di Balzac ai film di Jacques Tati), l’ex doganiere e la moglie, che con le loro soffiate costituiscono gli autentici artefici di tutta l’indagine. Specialmente lei, la terribile “Didine”, con il suo fiuto di segugio e la sua simpaticissima malignità, è un classico esempio di quei caratteristi che rubano la scena ai protagonisti: fin dalla prima apparizione, alla seconda pagina del primo capitolo, rannicchiata sulla poltrona del commissariato col suo ombrello sgocciolante, ci si rende immediatamente conto di trovarsi davanti a uno dei più irresistibili tipi umani sfornati dall'inarrestabile macchina da scrivere del nostro romanziere.
Questo giallo è del tutto atipico e in questa peculiarità rivela l’attenzione di Simenon a cercare sempre qualche cosa di nuovo affinché un personaggio così amato come Maigret non venga a noia. Prima di tutto il celebre commissario non è più di stanza a Parigi, ma è stato relegato in un oscuro paese della Vandea perché caduto in disgrazia e senza che se ne sappiano i motivi. Lì soffocherebbe nella noia se non ricevesse la visita di una vecchietta tanto minuta quanto intraprendente e che gli accenna a un cadavere che da qualche giorno è disteso sul pavimento di una stanza del villino di un suo vicino, un giudice di pace in pensione. Ecco l’occasione per risvegliare dal torpore il commissario e fargli avviare un’indagine che, dopo le prime fasi piuttosto lente, diventa un susseguirsi di colpi di scena con un ritmo incalzante e crescente, quasi si trattasse di un lavoro scritto sull’onda delle note del celebre Bolero di Ravel. Una piccola comunità, dove tutti si conoscono o credono di conoscersi, una stagione che alterna sole a pioggia, la vita regolata dal movimento delle maree che si riflette sul lavoro dei mitilicultori, insomma una provincia francese non rurale, ma marittima e che Simenon descrive con la consueta sorprendente abilità. Maigret giganteggia su tutti, non solo per la sua mole, a tratti sembra il gatto che gioca con il topo, ma non c’è nessuna ferocia in lui, c’è quel senso di pietà che spesso lo caratterizza e che lo porta ad avere compassione nei confronti di certi assassini. La vicenda può apparire forse piuttosto intricata,ma il gomitolo si sbroglia progressivamente in itinere e la conclusione è come al solito logica e plausibile. Di sicuro la lettura di La casa del giudice consentirà di trascorrere in modo veramente piacevole alcune ore, il che non è poco; le indubbie qualità letterarie, inoltre, contribuiscono a rendere questo romanzo meritevole di attenzione.
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