Recensioni Cinquantun giorni

Cinquantun giorni di Andrea Moro

Milano, 1978. Una donna potente e fatale ha lanciato una sfida a due compagnie teatrali rivali: mettere in scena una nuova versione dell’Iliade. Chi vincerà la contesa otterrà la gestione del più importante teatro della città. Pietro Raphèl e Gionata Mai sono i due attori più in vista, due volti dello stesso eroe, destinati a scontrarsi in un vertiginoso romanzo di passioni, un’avventura letteraria che ci insegue con una domanda semplice ma decisiva: siamo capaci di perdonarci? Il guanto di sfida è l’inizio di una folle corsa che ha il respiro dell’epica e che porterà i protagonisti a fare i conti con se stessi, a mettere in discussione gli affetti più cari e la loro stessa vita, fino a dimenticare il confine, divenuto sempre più labile, tra verità e finzione. Achille, Patroclo, Ettore e gli altri eroi del poema omerico escono dalla dimensione del mito per incarnarsi negli attori che li interpretano, fino a fondere i propri destini gli uni negli altri. Sarà la pazzia di un amico geniale a indicare la via e a suggerire ai personaggi una risposta che, inevitabilmente, riguarda tutti noi.

Proposto da Paolo Di Paolo al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«È un linguista, un neuroscienziato di fama, allievo di Noam Chomsky, Andrea Moro; e presta alla scommessa del romanzo la sua coscienza profonda della natura del linguaggio. Come invenzione, come relazione. Nella Milano del 1978 – cupa, elettrica: da lì si sente il rumore di un’epoca – due gruppi di attori si sfidano nel portare in scena una versione nuova dell’Iliade. Così il poema di Omero entra – letteralmente! – nel presente: i suoi temi, i suoi corpi, le sue domande radicali si reincarnano negli attori “antagonisti” e nelle loro esistenze concrete. Si nutrono, quindi, delle loro angosce, dei loro desideri, del loro “qui e ora”: “Si chiese molte e molte volte nella sua vita matura se la sua passione per il teatro non fosse proprio venuta da quella capacità di trasformare ciò che si vive in qualcosa d’altro con la sola forza della decisione”. Romanzo teatral-filosofico, epico di un’epica che si polverizza nel quotidiano, Cinquantun giorni ci rivela progressivamente, con una struttura narrativa e una prosa mai ovvia, la grammatica emotiva dell’umano sovratemporale. L’amicizia, la vendetta, le forme d’amore, la pietà, la vergogna. E l’ira funesta che esplode – anche storicamente, politicamente. Tutto inquadrato nella scommessa e nell’affanno delle prove, che sono decisive su un palcoscenico teatrale e sono forse anche la sostanza di ogni vita.»

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