L’ipotesi da cui muove la ricerca i cui esiti sono raccolti nel presente volume è che l’Università italiana stia attraversando un periodo di profondi cambiamenti. È ben vero che da almeno un trentennio tutti i sistemi di istruzione superiore, e massimamente quelli dei paesi europei, sono segnati da profonde trasformazioni. Com’è vero che il sistema di istruzione superiore italiano non rappresenta certo un’eccezione a questa tendenza. Quelle trasformazioni, tuttavia, sono state soprattutto l’effetto di una serie di riforme legislative che si sono susseguite a ondate nei diversi paesi e che si fondavano sull’impiego di identici strumenti di politica pubblica: una maggiore verticalizzazione del potere all’interno degli atenei (governance), un finanziamento statale basato almeno in parte su meccanismi di tipo competitivo, un’accountability istituzionale fondata su meccanismi di accreditamento e valutazione. In Italia, come noto, queste riforme, avviate alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, hanno trovato un più maturo compimento nella grande riforma del 2010. Sull’impatto della riforma del 2010 e sui suoi effetti esistono ormai molti contributi, non soltanto di carattere giuridico. Anche l’Osservatorio sull’Università vi ha dedicato una specifica ricerca, a dieci anni dall’entrata in vigore della legge Gelmini, evidenziando in particolare l’apporto che alla sua attuazione ha dato la giurisprudenza, in particolare quella amministrativa. I cambiamenti di cui si occupa questa ricerca, invece, sono di diverso genere, anzitutto in ragione della loro origine. Essi non sono dovuti a nuove riforme legislative, meno che mai di carattere generale, anche se diviene sempre più urgente nell’attuale periodo storico un processo di semplificazione a livello normativo che porti finalmente alla redazione di un testo unico in materia universitaria. Per un verso, le trasformazioni qui oggetto di attenzione e riflessione solo in minima parte sono riconducibili all’impianto della legge n. 240/2010, di cui costituiscono a volte un effetto di lungo periodo. In questo caso i cambiamenti, un tempo sottotraccia, divengono ora visibili perché raggiungono l’estremo delle implicazioni di un modello di conformazione cui il vecchio sistema universitario aveva finora resistito (basti pensare, tra le tante di queste implicazioni, all’ossessività burocratica). Per altro verso, i cambiamenti in atto appaiono piuttosto la conseguenza di due eventi di carattere eccezionale avvenuti negli ultimi anni. Ci si riferisce, com’è ovvio, da un lato, alla pandemia da Covid-19 e alla successiva crisi economica che da essa è scaturita e, dall’altro lato, al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Si tratta di cambiamenti imponenti, indotti da circostanze esterne che hanno sottoposto e soppongono l’Università a molteplici stress tests, per superare i quali è richiesta capacità di adattamento e di reazione. Se la pandemia è stata un accadimento epocale imprevisto e imprevedibile che ha generato una rete di emergenze, il Pnrr ha permesso inusitate iniezioni finanziarie una tantum e in un arco temporale relativamente breve, per dare una spinta, una sorta di primo shock positivo, alla ripresa della produttività economica, all’innovazione, alla mobilità sociale e all’inclusività.
Leggi di più
Leggi di meno