Athill non ha la pretesa di offrire ricette valide per tutti con cui affrontare la “fase di decadimento” ma riflette a voce alta su una varietà di temi, grandi e piccoli, che hanno influito e influiscono sul suo percorso “verso la fine”: sessualità, religione, morte, amicizia, fino alla bellezza del giardinaggio e la felicità di guidare l’auto alla sua età. E per chi è approdato alla vecchiaia in condizioni altrettanto fortunate o chi sta ancora traguardando quella meta, la sua visione della vita è non solo istruttiva ma molto divertente.
Da qualche parte verso la fine
Amante della vita, dell'arte, dell'indipendenza, Athill ci consegna un memoir che è insieme una confessione e un invito a percepire il tempo come un movimento naturale da assecondare, non un conflitto da combattere.
Per decenni Diana Athill è stata una figura centrale dell'editoria anglosassone, lavorando con autori come Philip Roth, Margaret Atwood, John Updike, Mordecai Richler e Jack Kerouac. Ma, alla soglia dei novant'anni, arriva il momento di scrivere di sé e interrogarsi sulla vita che resta. Vede dei carlini scorrazzare nel parco e sente una stretta al cuore: ha sempre sognato di averne uno, ma alla sua età non sarebbe giusto. Perché la vecchiaia è anche accettare che il tempo rimasto non basta per tutto. Così, nel suo ritmo paziente, la vita si fa lieve, quasi trasparente, eppure piena, come se ogni istante racchiudesse una piccola verità assoluta. In "Da qualche parte verso la fine" Diana Athill descrive la vecchiaia con limpidezza e senza patetismi: racconta il corpo che cambia, la serenità nel lasciare andare ciò che non conta e, soprattutto, la libertà di essere se stessa. Tra dettagli concreti - la scelta di un rossetto, un libro abbandonato, una felce che cresce in giardino - e riflessioni su domande cruciali dell'esistenza, le sue parole scorrono leggere e dense di ironia.
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Anno edizione:2025
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