Il country di Kacey Musgraves si è distinto, fin dagli esordi, per il suo approccio innegabilmente ‘progressista’ al genere, incline a contaminazioni slegate dai monolitici stereotipi del mainstream più ‘conservatore’. Commistioni e sperimentazioni che nel precedente “Star-crossed”, imperniato sulla fine del suo matrimonio, si erano spinte fino ai limiti di un estremismo avant pop, tanto da renderlo ineleggibile nelle categorie ‘country’ ai Grammy del 2022. “Deeper Well” riporta invece la Musgraves ad atmosfere più vicine a quelle che avevano contraddistinto il pluripremiato “Golden Hour”. Il vocabolario musicale qui utilizzato ben si presta alla narrazione della ricerca di un significato più profondo (donde il metaforico titolo) e di una profonda rigenerazione. Il che non vuol affatto dire che tutto qui sia bucolico e che paure ed inquietudini siano del tutto assenti: c’è perfino spazio per un piccolo brivido sovrannaturale (nell’iniziale ‘Cardinal’) e non di rado risuona l’eco delle sofferenze passate e di una certa tossicità legata sia a rapporti interpersonali che ad abitudini consolidate, mentre la contemplazione delle meraviglie del creato non impedisce che ci si interroghi sull’esistenza stessa di un’entità superiore. L’ascolto in successione delle tracce fa emergere una omogeneità stilistica incontestabilmente maggiore rispetto al disco del 2018, nonché una sostanziale assenza di deviazioni da un impianto di base fondamentalmente minimalista ed acustico in cui country, cantautorato a stelle e strisce di fine anni ‘60 – inizi anni ‘70 (modello Laurel Canyon) e suggestioni ‘Americana’ si fondono con un folk in cui sono confluite le tradizioni musicali scozzesi ed irlandesi. La solidità dell’album è inoltre suggellata da una notevole capacità di scrittura, in grado non solo di esprimere una poetica del quotidiano che non scade mai nella banalità ma anche di cogliere l’aspetto universale di storie essenzialmente intime e personali.
