Nonostante quella del Dossi sia ormai una misoginia d’antan, una misoginia incondivisibile a mio avviso, non si può non rimanere affascinati dal suo sapiente ed immaginifico uso della lingua -della lingua in ogni suo minimo aspetto-. La critica alla società, seppur asperrima e acutamente ossessiva, è solo un pretesto; è solo il teatrino satirico nel quale mettere in scena il dramma delle parole: un gioco al massacro in cui l'espressività del linguaggio viene tesa al massimo grado verso la deformazione espressionistica dell'intera umanità e di cui la critica alla donna è solo un pallido riflesso. Oltre Dossi forse, almeno in Italia, si spingerà solo Gadda.
Acido ritratto della condizione femminile nel secondo Ottocento, "La Desinenza in A" fu definita dal Dossi stesso «una bricconeria, fatta da un galantuomo». La trama evanescente, imperniata su un collaudatissimo repertorio di motivi topici – il matrimonio d'interesse, la morte in povertà, la degradazione dell'essere umano – lascia spazio a un'eloquente serie di «ritratti donneschi» che «formano gli atti di una sola tragicommedia, “la Donna”». Il richiamo è a una pittura d'ambiente borghese, narrativa e satirica, che affranca l'autore dai modi del verismo francese e segna il suo progresso lungo una via autonoma al realismo.
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Edizione:3
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Anno edizione:2009
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ROBERTO NESPOLA 07 marzo 2017
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