Dialoghi con Leucò - Cesare Pavese - copertina
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Letteratura: Italia
Dialoghi con Leucò
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Descrizione


Scritti tra il 1946 e il 1947, si tratta di ventisette dialoghi spogliati di ogni dimensione narrativa con un solo obiettivo: svelare l'essenza dell'uomo.

Dialoghi con Leucò è l'opera a cui Pavese tiene di più e che ritiene la sua più significativa: in essa reinterpreta i miti greci, ridà vita ai personaggi della mitologia, utilizzandoli per affrontare e risolvere i temi a lui cari: il rapporto tra uomo e natura, l'ineluttabilità del destino, l'intensità del dolore e la morte.

Dettagli

25 novembre 2021
224 p., Brossura
9788818036701

Valutazioni e recensioni

  • EvadiPalma
    La caducità come privilegio

    Leggendolo si ha la sensazione di sbirciare tra gli appunti di Pavese, avere il privilegio di scartabellare tra i suoi quarti di luna, i suoi capricci, le sue muse nascoste, senza esserne scoperti. Una dolente elegia in cui gli uomini si avvicinano agli dei non meno di quanto gli dei si avvicinino all’umanità. Ma ben consapevoli che la ricchezza tipica di noi mortali risiede proprio nella morte, che, come ci dice Dioniso dialogando con Demetra, ci costringe a industriarci, a ricordare, a prevedere, finendo per raccontare le storie col sangue. Quel sangue che, nel dialogo “Il mistero”, si fa presto a mettere in sintonia con il vino dionisiaco. L’uomo è la sua caducità, l’ansiosa speranza di un morire che diviene nascita, il sesso, la carnalità di vite trasformate in schiuma d’onda in un Mediterraneo che ribolle senza posa “tutto intriso di sperma e di lacrime”, il barlume di cielo che ci fa trasalire (a tal punto da far voltare Orfeo) e riconoscere che lì si nascondeva la stagione che si andava cercando. “L’immortale è chi accetta l’istante”, fa dire Pavese a Calipso. D’altronde è racchiuso nell’istante il nucleo della vita, il suo magma ribollente. E gli dei per certi versi invidiano questo anelito d’immortalità tutto nostro, che sa trasformare l’istante in ricordo. Il potere di dare nomi alle cose, potere - forse - supremo, è nostro: dire un nome e renderlo “cosa per sempre”, attimo che diviene ricordo, immortale. Agli altri lasciamo le perturbazioni e noi teniamoci stretta la nomenclatura delle cose. E cos’altro è la poesia se non dare nomi a ciò che abbiamo davanti agli occhi, grazie a un continuo affinamento della sensibilità che ci consente un inedito stupore dinanzi al quotidiano, la capacità di commuoverci per l’improvviso rivelarsi del mondo, fatto di continue epifanie del sentire? Poesia è “dire” le cose, renderle “inaudite, eppure care e familiari come una voce che da tempo taceva”, così Esiodo, persuaso da Mnemosime.

Conosci l'autore

Foto di Cesare Pavese

Cesare Pavese

1908, Santo Stefano Belbo (Cuneo)

Studia a Torino dove si laurea con una tesi su Walter Withman. Sin dagli anni Venti legge i maggiori autori americani e inizia a tradurre le loro opere. Fra il 1935 e il 1936, per i suoi rapporti con i militanti del gruppo Giustizia e Libertà viene arrestato, processato e inviato al confino a Brancaleone Calabro. Tornato a Torino inizia a collaborare con la casa editrice Einaudi nel 1934 per la realizzazione della rivista «La Cultura», che dirige a partire dal terzo numero. Nel 1945-46 dirige la sede romana della medesima casa editrice. Ha svolto un ruolo fondamentale nel passaggio tra la cultura degli anni Trenta e la nuova cultura democratica del dopoguerra. Dopo la Liberazione, si iscriv al partito Comunista. Seguono anni di lavoro molto intenso, in cui pubblica le sue...

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