Al Alvarez affronta uno dei temi più complessi e controversi: il suicidio, esplorandolo attraverso la lente della letteratura, dell’arte e della sua stessa esperienza personale. Il dio selvaggio non è solo un’indagine intellettuale, ma anche un viaggio emotivo che unisce riflessioni storiche e culturali a testimonianze intime. Con uno stile lucido e incisivo, Alvarez collega il suicidio a una tensione esistenziale che ha attraversato epoche e artisti, da Petronio a Sylvia Plath, di cui fu amico. L’autore supera l’approccio freddamente analitico della psichiatria o della sociologia, restituendo al suicidio una dimensione umana e personale. Attraverso esempi come Pavese, Kafka ed Hemingway, Alvarez esplora il confine sottile tra l’arte come redenzione e come annullamento.
Il dio selvaggio. Suicidio e letteratura
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Perché gli artisti, da Petronio a Pavese a Sylvia Plath, sono attratti dalla morte al punto di preferirla alla vita? La storia della letteratura e dell'arte è piena di suicidi veri e di suicidi intellettuali. Il confine tra questi due modi di chiudere i conti con la vita - Kafka che decreta la distruzione delle sue opere, Hemingway che si uccide veramente - è molto labile e difficile da definire. Anche se non viviamo più in un'epoca in cui il rapporto fra l'artista e la vita è dominato dalla tensione verso il sublime gesto romantico, tuttavia la tentazione del suicidio è ancora suggestiva. Al Alvarez, noto critico letterario inglese che ha tentato egli stesso il suicidio, ci racconta l'avventura del suo viaggio di "andata e ritorno" fino al termine della vita, giungendo a intuizioni che sfuggono agli esperti di psichiatria, sociologia e statistica. Il dio selvaggio costituisce infatti un tentativo di strappare il suicidio dal campo della teoria per riportarlo a quello della dimensione umana, collegandolo alla visione della vita e dei costumi come si è manifestata nei vari periodi storici. Il suicidio è sempre esistito; tanto più esiste nella nostra epoca in cui la condizione umana poggia su basi così fragili come già ci preannuncia il suicidio di Van Gogh a fine Ottocento e come ci conferma Pavese con il suo drammatico "Non parole. Un gesto": un modo stoico per "venire a patti con la morte", l'unica libertà per i nostri tempi, come rilevava Camus. Così, sostiene Alvarez, l'uomo moderno - di cui l'intellettuale rappresenta la coscienza più esposta alle sollecitazioni del "dio selvaggio", vittima di un'angosciosa solitudine che lo spinge a scegliere la via della morte piuttosto che accettare la sconfitta della vita - paga uno scotto che non ha precedenti nei secoli passati.
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Anno edizione:2017
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KAOS 06 gennaio 2025Profondamente empatico
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