Marianne è una trentenne sposata con Bruno, direttore vendite di un’affermata ditta di porcellane. I due vivono agiatamente in un bungalow in un quartiere residenziale e hanno un figlio di nome Stefano. Il loro sembra un matrimonio felice, ma la donna un bel giorno decide di dare il ben servito al suo compagno pregandolo di andarsene da casa e lasciarla da sola con il bambino, senza giustificare la sua scelta. Inizierà per lei un periodo di riflessione interiore che la vedrà rifugiarsi in una profonda solitudine, rifiutando compagnie, svaghi e avances e concentrandosi invece su se stessa e sul suo lavoro di traduttrice. Libro breve e glaciale, in cui l’autore racconta i tormenti di una donna alla ricerca del proprio Io, senza intraprendere una vera e propria analisi introspettiva della protagonista ma basandosi su piccoli particolari, su gesti quotidiani apparentemente banali e su vaghe informazioni riguardanti la sua vita che più che spiegare fanno intuire velatamente quali potrebbero essere le ragioni della sua scelta e la maniera in cui la donna affronta le conseguenze della sua decisione. Una decisione che Marianne sembra difendere con sempre maggiore fermezza e convinzione, dichiarando esplicitamente che non cerca la felicità, anzi la teme, dimostrando fastidio nei confronti di chi vuole spiegarle come è fatta lei e indifferenza verso chi cerca di starle vicino e verso i blandi tentativi del marito di riconquistarla. Decisa, misteriosa, impassibile, la protagonista affronta un viaggio nei meandri della propria identità che va oltre la fuga dal matrimonio e la conquista di una libertà fine a se stessa.
Al suo apparire in Italia, "La donna mancina" riscosse successo di pubblico particolarmente sensibile alla questione femminile - e di critica: Claudio Magris vi scorse la manifestazione di "una vita pura, essenziale, che brilla nei dettagli minimi", e Alighiero Chiusano fu pronto a scommettere sulla sua durata a dispetto "di tante altre roboanti cosmogonie sperimentali". Lasciate cadere le trasgressioni astute e plateali degli anni Sessanta, l'implacabile e delicata macchina narrativa di Handke ha conquistato uno sguardo limpido e impassibile come quello di una macchina da presa. Quello sguardo offre qui l'indimenticabile ritratto di una donna sulla soglia misteriosa della sua "lunga stagione di solitudine".
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Edizione:5
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Anno edizione:1997
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Enrico Caramuscio 01 aprile 2013
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