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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2010
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Il racconto comincia aprendo una finestra su una famiglia normale; una madre occupata a tenere a bada tre figlie, un marito magistrato e un cane, alla vigilia di Natale, con tante cose da fare: la spesa, i regali, e mai un po’ di tempo per sé. Poi, all’improvviso, una macchina le sbanda addosso e la uccide. La perdita inattesa, l’assenza permanente che sostituisce una presenza continua, le bambine, il padre, il cane… tutti costretti a fare i conti con questa improvvisa realtà. Un’altra storia, quella che sembra la principale: la morte improvvisa di un bambino: l’inchiesta che deve spiegare se si è trattato di incidente domestico o omicidio. Un altro dolore, anch’esso improvviso, inaspettato, in una famiglia altrettanto normale. Il registro della narrazione cambia continuamente: le protagoniste femminili parlano in prima persona, il racconto scorre in terza persona. Ogni paragrafo introduce un personaggio nuovo, lo descrive, lo colloca nella storia: pezzi di puzzle che ti spiazzano ogni volta, sembrano non avere niente in comune con gli altri fino alla fine, quando l’opera sarà compiuta: tutti andranno al loro posto e quello che sembrava non avere un senso ce l’ha. Non è perfezione, questo no, è l’ingiustizia della vita, sono i “cieli noncuranti” sotto cui siamo costretti a vivere. L’esistenza di ognuno tange quella dell’altro senza mai compenetrarla realmente, ci si accorge del dolore dell’altro, si vorrebbe fare qualcosa, ma c’è anche il proprio da curare…
Sotto cieli noncuranti è un libro senza troppe pretese, un modesto esempio di narrativa di consumo. La trama è quanto mai semplice e scarna, e purtroppo pare risentire dell’influenza esercitata dalla cronaca giornalistica (temi abusati e sensazionalistici come le infedeltà coniugali,i presunti crimini commessi fra le mura di casa,etc.) e dai telefilm polizieschi, in cui all’indagine su un caso si accompagna la narrazione delle vicende private dei personaggi: nell’innevata Torino alle soglie del Natale il magistrato Giovanni Corrias è chiamato a indagare sull’inspiegabile morte del bambino dei coniugi Serra, seguita da un corollario di dubbi sulla madre, sola con il figlio al momento del decesso. Ma proprio all’inizio delle indagini Giovanni apprende dell’incidente fatale accaduto alla moglie Chiara, investita da un’auto. L’uomo, affranto, cerca di alleviare il proprio strazio dedicandosi completamente all’attività investigativa, nella quale è aiutato dalla giovane poliziotta Violaine Griot, la quale peraltro cerca di prendersi cura anche delle figlie del magistrato, Caterina,Matilde e Beatrice, che a modo loro affrontano il dolore per l’improvvisa scomparsa della madre. Le prime pagine scorrono lente e quasi disorientano il lettore, annoiato da un’ambientazione fredda, grigia e monotona. A fronte di una storia esile e spesso scontata l’autrice riesce tuttavia a intrigare grazie all’abile intreccio delle diverse prospettive dei personaggi e a una tecnica narrativa originale. Lo stile paratattico, spezzato da una punteggiatura frequente (non sempre piacevole), unito all’intersezione fra narrazione, discorsi diretti e indiretti, pensieri e riflessioni dei personaggi risulta il più delle volte rapido e avvincente, ma talvolta le inutili digressioni e dei flussi di coscienza appena abbozzati distraggono e spengono bruscamente l’interesse. Non mancano irritanti cadute di stile dell’autrice: cosa si cela dietro la citazione continua dei marchi di aziende varie? Pubblicità occulta? Perché la Cibrario scrive di Ipod e non di semplici lettori mp3 o dice Mercedes e non auto di grossa cilindrata o ancora Glenmorangie e non whisky scozzese? Perché servirsi di etichette preconfezionate e non del proprio estro? Forse un’eccessiva volontà di conferire realismo al racconto? La caratterizzazione dei personaggi appare superficiale e la descrizione prolissa dei comportamenti delle bambine e del loro mondo infantile rischia di sfociare nella banalità. I temi affrontati sono triti e ritriti, nonché privi di un’adeguata riflessione in proposito: l’imprevedibilità del fato, la morte, il dolore, l’elaborazione del lutto, l’amore coniugale e adulterino, la routine quotidiana,… La scrittrice non vi apporta granché di nuovo. Il libro è in sostanza insipido e quasi amorfo e al lettore non resta che riporre sullo scaffale questo volumetto noncurante e gettarsi subito su un buon Dostoevskij, per rincuorarsi almeno un po’.
il magistrato Corrias è al cinema con la moglie quando gli comunicano che è stato incaricato di un caso per la morte di un bambino. Accompagna la moglie a casa, ignaro che tra pochi minuti sarà investita da una macchina. Dolori che si incrociano, mancanze varie si dipanano in una narrazione da psicanalisi spiccia e anche un pò noiosa. L'amore per la montagna condisce il tutto....dopo Rosso Vermiglio ci si aspettava di meglio!
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