Elogio del praticante avvocato
A leggere l’”Elogio del praticante avvocato”, risulta evidente che l’autore, nutrendo un sacro rispetto per la cultura – sebbene, con rabelaisiana vena di autoironia, si proclami afflitto d’una non misurabile ignoranza - detesta il detto plebeo secondo cui “è preferibile un asino vivo a un critico morto”. Per questo non esita a manifestare un disprezzo luciferino per quella parte del mondo forense che, affatto immemore degli antichi fasti - tuttavia non intesi come mero reliquiario dei ricordi, bensì come radice viva da cui trae linfa il presente - si autocelebra quale avanguardia della modernità e, viceversa, perdendo il senso del pudore, altro non riesce a essere che l’immagine scolorita di quell’avvocatura fin de siècle ch’era impegnata nell’affermazione di principi etici e di regole giuridiche di valore universale. Nondimeno il famoso penalista, con una serie di riflessioni sullo stato attuale dell’avvocatura, giunge alla conclusione che, quantunque sia attraversata da una grave crisi interna, essa “non morirà”, perché sarà salvata da quella élite di giovani che, nel solco della tradizione, si avviano a esercitare la “gentil professione”, in chiave di modernità, come una missione costituzionale, morale, politica e civile.
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Anno edizione:2017
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