Fare il Ticino. Economia e società tra Otto e Novecento
Un cantone povero, abitato da agricoltori e allevatori, solcato da vie di comunicazione precarie; poche le scuole, rari gli opifici, ridotta all'osso l'amministrazione, quasi assente il sentimento di appartenere ad una patria comune. Berna è lontana, come pure lo spirito della Rigenerazione che avrebbe portato - dopo la prova di forza del Sonderbund - alla nascita dello Stato federale (Bundesstaat) del 1848. Solo l'avvento della ferrovia strappa il Ticino al suo plurisecolare isolamento. Di più: lo inserisce nella rete dei traffici nazionali ed internazionali, creando collegamenti tra il Nord e il Sud d'Europa, tra città e porti, tra bacini industriali e centri di villeggiatura. Nel contempo le rotaie dotano il cantone di una spina dorsale solida ed efficiente, costringendo comuni e distretti a collaborare dopo secoli di reciproca indifferenza. Con la "Gotthardbahn" arrivano però anche imprenditori, alti funzionari e nuove idee. Bellinzona, capitale stabile dal 1878, vede spuntare circoli e scuole di lingua tedesca. Capitalisti e albergatori scorgono nel turismo un settore promettente. Da Sud giungono invece gruppi di edili, scalpellini, operai, e con essi i temi dell'agitazione socialista e sindacale. Dopo i tumulti milanesi del 1898 cercano riparo in Ticino anche molti intellettuali inseguiti dai gendarmi del Regno. Tutto questo s'interrompe bruscamente con la prima guerra mondiale. Le privazioni imposte ai ceti popolari scatenano proteste e disordini a Lugano e a Bellinzona. Ma la notizia dello sciopero generale proclamato dal Comitato di Olten nel novembre del 1918 coglie militanti e maestranze di sorpresa: tanto che questa grande mobilitazione, per certi versi unica nella storia sociale e sindacale elvetica, non ebbe, a Sud delle Alpi, che una flebile eco, presto svanita. Prefazione di Andrea Ghiringhelli.
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Anno edizione:2016
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