Follia e letteratura. Storia di un'affinità elettiva. Dal teatro di Dioniso al Novecento
Se la follia è tra i grandi temi privilegiati dalla letteratura occidentale, è perché un inquietante legame unisce i rispettivi linguaggi: follia e letteratura enfatizzano entrambe l'immagine di un individuo isolato e contrapposto al gruppo sociale, lo si chiami eroe o antieroe; entrambe portano fino all'estrema contraddizione il tentativo di mettere ordine nel caos della realtà; entrambe, attraverso il sistema figurale, sconvolgono la relazione tra segno linguistico e referente. Contemporaneamente la storia culturale è attraversata da un pertinace tentativo di esorcizzare quella che chiamiamo la perdita, e dovremmo piuttosto chiamare la mutazione, della ragione. A questo fine la tragedia greca ci indica la via della dissociazione fra natura e destino: la pazzia non siamo noi, è un dio ostile che ci spossessa dei nostri comportamenti. Al contrario le grandi esperienze che si fronteggiano ai primi del Seicento, "Re Lear" e "Don Chisciotte", fanno della pazzia la rivelazione dell'io autentico, della fantasia, dell'umanità e della verità. Nell'Ottocento il tema diventa il terreno di confronto tra l'uomo e Dio, dall'antagonismo irriducibile che campeggia in "Moby Dick" e nei racconti di Maupassant all'applicazione integrale e paradossale del messaggio cristiano nell'"Idiota" di Dostoevskij e nel "Parsifal".
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Anno edizione:2018
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