Cavina ha inteso mettere nero su bianco una vicenda familiare, che ha come teatro principale la fine del 1944 presso la linea Gotica, dove Mario, poco più che un ragazzo, partigiano, ferito gravemente all’addome viene salvato dal fratello maggiore che fra mille difficoltà e rischi lo porta in una villa dove verrà curato. I due non si parlavano da tempo, senza particolari motivi, ma per certo ormai si ignoravano. La trama, pur interessante, è opportunamente integrata con salti temporali all’epoca successiva, più vicina ai giorni nostri, ed è un espediente utile per chiarire i rapporti fra i due fratelli, con uno, il maggiore d’età, legato visceralmente alla terra e che si imbarca in conduzione di aziende agricole che regolarmente vanno male. Pieno di debiti, chiede in prestito dei soldi al fratello minore, che acconsente, memore della salvezza raggiunta grazie al suo soccorso. E’ un romanzo breve e non potrebbe del resto essere più lungo visto che si narra di una particolare vicenda familiare, una storia a cui Cavina doveva tenere molto, anche perché, in un mondo rurale dove si spendono poche parole se non quelle strettamente necessarie, con individui che ignorano che cosa significhi un dialogo, qualcuno doveva pur narrare di un fatto di per sé non eclatante, ma che nel quadro generale di una guerra partigiana dava smalto al ferito e al soccorritore. La parte migliore del libro è appunto quella dove si parla di questa fuga per la salvezza, tanto che sembra di vedere i due fratelli che arrancano nei boschi, con il più grande che porta spesso sulle spalle il più giovane, uno sforzo notevole e con il pericolo costante di essere intercettati o dai tedeschi o dalla Guardia Nazionale Repubblicana. Fratelli nella notte non è certo un capolavoro, ma un libro onesto, un lavoro più artigianale che artistico, il che non toglie che sia di gradevole lettura.
Fratelli nella notte
Mario è un giovane contadino romagnolo, semplice e mite. Non ha sogni né desideri, e accetta con atavica rassegnazione la dura vita di lavoro e fatica che il destino gli ha assegnato. La sua esistenza procede così, nella ciclicità dell’alternarsi delle stagioni. Al compimento dei diciotto anni Mario riceve la cartolina di leva della Repubblica sociale: è il 1944 e per paura delle armi si sottrae all’arruolamento. Si rifugia prima da alcuni lontani parenti, aiutandoli nei lavori più pesanti in cambio dell’ospitalità. Ma la sua presenza è un pericolo per tutti, così si unisce alla 36a brigata Garibaldi. Lì, per la sua mitezza e la sua semplicità, viene esentato dalle azioni militari; si occupa dei muli e dei cavalli, con i quali solamente sembra a suo agio, e per questo legame con le bestie e per la comica rapidità delle sue fughe terrorizzate nei boschi all’arrivo dei tedeschi, gli viene dato come nome di battaglia Tarzan. Nonostante i suoi sforzi per nascondersi dalla storia, però, si ritrova in prima linea e per farcela è costretto a contare solamente su Giovanni, suo fratello. Ma Giovanni è più vecchio di quindici anni: i due sono quasi estranei, tanto che Mario lo ha sempre temuto e non sa prevedere come risponderà a una richiesta di aiuto tanto rischiosa. Con un respiro ampio che dà nell’epico, uno stile potente e asciutto, in grado di rappresentare gesti autentici e dialoghi di poche parole cariche di verità, Cristiano Cavina racconta una storia che si legge d’un fiato, commovente ed emozionante proprio perché priva di qualsiasi idealizzazione, di qualsiasi nostalgia. Soltanto due fratelli davanti al discrimine fra vivere e morire, senza mostri né eroi; soltanto un ragazzo spaventato che cerca di sopravvivere e un uomo costretto a scegliere se rischiare la vita per salvarlo.
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Renzo 02 gennaio 2025Uno spaccato di guerra e di vita contadina
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