Recensire un libro del mio scrittore preferito è un compito arduo. La bellezza di questo romanzo è la semplicità del e nel raccontare la quotidianità, le vicende che occupano la nostra vita e che percepiamo come problemi a volte insormontabili. La genialità di Yehoshua è l'aver creato un parallelo con la solitudine o, meglio, il distacco dalla frenesia della vita quotidiana del cognato dei protagonisti. La scelta di vivere in Tanzania, il rifiuto di angosciarsi per la sorte del governo o del primo ministro del proprio paese, riscoprire le piccole sorprese che la natura ti può riservare, come la lotta fra due animali selvatici. In fondo anche la riscoperta del rapporto con il marito, una sorta di approdo in un'isola protetta, credo sia la voglia di volersi isolare dal mondo. Su tutto il raconto aleggia l'ombra cupa della guerra, di due popoli che non riescono a convivere in pace, della morte che lacera le famiglie e le esistenze.
"Ruach" in ebraico significa vento, ma anche spirito, e "ruach refaim" è lo spirito dei morti, il fantasma. Il vento, in questo nuovo romanzo di Abraham B. Yehoshua, è quello che si insinua nelle fessure di un grattacielo di recente costruzione a Tel Aviv e provoca sibili e ululati che turbano gli inquilini. Amotz Yaari, il progettista degli ascensori, viene chiamato a indagare e a difendere il buon nome del suo studio dalle accuse che gli vengono rivolte. È la settimana di Hanukkah, una delle feste più amate in Israele, ma non è una settimana facile per Amotz. Sua moglie Daniela, che ama moltissimo è partita per la Tanzania, dove in una specie di esilio volontario vive Yirmiyahu, vedovo della sorella di Daniela. Da quando suo figlio è stato ucciso per sbaglio da un commilitone durante un'azione nei territori occupati, Yirmiyahu non sopporta più di vivere in Israele. Non solo: non vuole più vedere un israeliano o leggere un giornale o un libro scritto in ebraico. Vuole liberarsi dalla storia del suo paese, e per farlo ha accettato un lavoro di contabile al seguito di una spedizione paleoantropologica in Africa. Alla ricerca degli ominidi preistorici, per non rischiare dolorosi incontri con la storia. Al centro del racconto, il ricordo di un giovane ucciso, la rabbia per quelle due parole - "fuoco amico" -, il rifiuto di vivere in un paese continuamente in guerra, ma anche la sete di normalità, l'amore e la testarda volontà di tenere unita la famiglia.
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Anno edizione:2008
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MAURO TIRLETTI 16 settembre 2008
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