“Un giorno ti ho parlato d’amore” (ed. L’asino d’oro, 2019) è l’ultimo romanzo di Maura Maioli, scrittrice, traduttrice, insegnante. Si tratta di un riuscito romanzo di formazione che integra il viaggio del giovane protagonista dalla partenza al ritorno: un romanzo di formazione on the road, potremmo dire. Calo, il protagonista, ha ventidue anni, e dalla provincia italiana decide di partire a piedi: porta con sé un indirizzo scritto da sua madre in un biglietto e una meta (l’Inghilterra e poi, forse, l’America di Cormac Mc Carthy, il suo autore preferito, la cui trilogia trova posto, con un taccuino, nello zaino leggero). La strada di Calo si costruirà soprattutto attraverso gli incontri con i depositari della gentilezza, dell’umanità e dell’amore che danno un senso al viaggio, e attraverso gli incroci con un’umanità più misera, fortunatamente in minoranza. Arricchiscono, delimitano e allo stesso tempo delineano il viaggio di Calo proprio i suoi incontri, e la figura fuori campo di una madre che ha saputo parlare d’amore al figlio, mettendo in pratica il difficile dono della fiducia, della libertà e del distacco; queste sono le estensioni e le profondità del cammino, e i fattori determinanti perché il viaggio trovi senso e ritorno, diventando crescita personale. La scrittura è pulita, scorrevole eppure profonda. I personaggi sono ben delineati e si stagliano con il proprio carattere e la propria “lezione” (memorabile la camionista Gianna, o il vecchio vedovo inglese con la sua generosità e la sua barca). In sottofondo, come in ogni buon libro, ho sentito un “discorso amoroso” con la grande letteratura inglese e americana, e in superficie ho amato la capacità di mantenere l’atmosfera del road movie nel contesto provinciale italiano, nella prima parte del libro. Maura Maioli ha creato un intreccio sorprendente, un vero gioiello: la canzone che Calo scrive nella sua testa, l’amore con cui Calo farà i conti, il viaggio con l’inestricabile nodo del desiderio e della paura, la fiducia nel prossimo che diventa uno sguardo rinnovato e fecondo sulla vita, l’importanza di una passione che guida un viaggio come una suggestione divina, un’ispirazione pura per trovare sé stessi. Ma ci sono anche il rimpianto, la durezza della vita e della rinuncia, il peso del viaggio di chi si stacca da una famiglia per necessità, come fa Ahmed, o la nostalgia e la solitudine di Ernest. La sensazione che si ha, leggendo il romanzo di Maura Maioli, è che ci si trovi davanti a un quadro dallo schema narrativo semplice ma ricco e curato: credo sia l’ossatura dei libri migliori. E c’è una morale, racchiusa nelle ultime pagine: “Compresi che la vita è già nel desiderare. (…) Sentii che l’unica cosa di cui dovremmo aver paura è rimanere immobili nel punto in cui siamo”. Come il rotolacampo della canzone di Calo si stacca dalla pianta per lasciare (e raccogliere) semi, la storia che Maura Maioli ci ha consegnato prende ora la sua strada per lasciare semi importanti: su tutti, il senso del desiderio, dell’avventura, e la capacità umana di accogliersi e riconoscersi.
Un giorno ti ho parlato d'amore
Una musica in testa, un indirizzo in tasca e i piedi per andare. Calo è un ragazzo di ventidue anni alla ricerca della sua strada, del suo posto nel mondo. Come un rotolacampo ha bisogno di staccarsi dalle radici per nascere e non morire. Intraprende così una sfida con se stesso, con il suo corpo: zaino in spalla, inizia un viaggio verso l’Inghilterra e Land’s End. Ripiegato nella tasca del giubbotto, custodisce un biglietto, con un nome e un indirizzo, che sua madre gli ha dato prima della partenza. Anche se lui non lo sa ancora, in quel biglietto è scritta la sua mèta. Nel suo viaggio Calo decide di portare con sé pochi oggetti, tra cui un libro del «più grande autore vivente», Cormac McCarthy, e un taccuino, sul quale annota i suoi pensieri, i versi di una canzone e una lista degli esseri umani incontrati, tanto improbabili quanto veri: una donna a bordo del suo tir, un tunisino che gli apre la sua casa, un’anziana custode di cimiteri, una ragazza che studia il linguaggio delle piante e un vecchio navigatore. E Sara, un’apparizione fugace come un miraggio ma forte come solo il desiderio può essere. Da loro, Calo imparerà come la gentilezza possa spuntare le armi all’aggressività e all’egoismo, e come per trovare casa nel mondo bisogna essere ospiti educati e curiosi. Un romanzo candido e ottimista, narrato con una voce che rifugge gli eccessi, in una lingua tersa e attenta alle sfumature.
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Lingua:Italiano
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Giulia Lanciotti 29 luglio 2019
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