"Goldfinger" (1959) è il romanzo più complesso della serie di 007 e forse il più celebre. Facciamo dunque la conoscenza di Auric Goldfinger, il villain più riuscito della saga: presentato come un piccoletto rubizzo affetto da manie di grandezza, è invero un inglese multimilionario che si circonda da coreani (in particolare dal silenzioso Oddjob, armato di una bombetta dalle falde affilate che lancia come fosse un frisbee). Il personaggio sembra ispirato a Ernö Goldfinger, l'architetto che in tutta l'Inghilterra demoliva palazzi vittoriani sostituendoli con discutibili edifici modernisti. James Bond avvicina Goldfinger, sospettato di traffico d'oro, al campo di golf dove giocano entrambi: la macro-sequenza della partita si basa su descrizioni così particolareggiate chea lungo andare avvincono come in un duello. Le cose si complicano con l'entrata in scena di Tilly Masterton, una donna in cerca di vendetta personale contro il genio criminale: questi, infatti, ha il feticismo di ricoprire di vernice d'oro le belle ragazze di cui si circonda, ma nel caso della sorella di Tilly (nonché amante di Bond) l'ha fatta ricoprire fino al punto di soffocarla, punendola così per il suo tradimento. James Bond sospettava Goldfinger di essere colluso con la SMERSH, i servizi segreti sovietici, ma ora quando finisce suo prigioniero insieme a Tilly, lui stesso viene costretto a prendere parte al "più grande colpo di ogni tempo": Goldfinger riunisce "l'aristocrazia della malavita americana" con l'obiettivo di svaligiare nientemeno che Fort Knox. Anche l'omonimo film è considerato dai fan e dalla critica uno dei migliori della serie, quello che impostò la formula-Bond come modello del cinema d'azione degli anni sessanta. Fatto per grandi sequenze, il libro è uno dei più raffinati della serie, e la grande rapina finale una delle più coinvolgenti mai messe in atto...
Goldfinger
Seduto in fondo alla zona partenze dell'aeroporto di Miami con due bourbon doppi in corpo, James Bond pensava alla vita e alla morte.
«Bond, per tutta la mia vita io sono stato innamorato. Dell'oro. Amo il suo colore, la sua brillantezza, la sua divina pesantezza. Amo la sua consistenza, la viscosità morbida che ho imparato a giudicare con tanta precisione da saper valutare al tatto la purezza di un lingotto con l'approssimazione di un carato. E ne amo il calore, quando lo fondo in sciroppo. Ma soprattutto amo il potere che solo l'oro conferisce a chi lo possiede... la magica virtù di controllare l'energia, imporre la fatica, soddisfare ogni nostro desiderio o vezzo; e, all'occorrenza, comprare i corpi, le menti, persino le anime.»
Può essere che Ian Fleming, come spesso gli accadeva, abbia usato Goldfinger per regolare qualche conto, o sublimare alcuni desiderata. Di fatto la sconfitta, nell'estate del 1957, ai campionati semiprofessionistici del Berkshire Golf Club non gli era andata giù, e ancora meno gli stavano piacendo i progetti di Ernõ Goldfinger, l'architetto che in tutta l'Inghilterra demoliva palazzi vittoriani, sostituendoli con discutibili edifici modernisti. Quanto alla sua attraente vicina di casa a Goldeneye, che sarebbe diventata sua amante, somigliava anche troppo a Miss Galore: solo che si chiamava Bianche Blackwell, mentre «Pussy» era il nome in codice di un'agente segreta conosciuta da Fleming durante la guerra. Serviva altro, per scrivere il romanzo fino ad allora più complesso della serie, e da allora in poi forse il più celebre? Be', sì, serviva la storia, a dir poco rocambolesca, del «più grande colpo di ogni tempo». Parola di Auric Goldfinger.
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Anno edizione:2017
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Libri Senza Gloria - blog pop nerd 14 dicembre 2024Il cattivo più grande
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