Scritto prima degli avvenimenti terroristici di questi ultimi decenni, il libro va al cuore dello scontro di civiltà, affermato spesso sia da chi lo vuol praticare sia da chi lo rifiuta; anche questi ultimi infatti pur non volendo lo scontro, tendono ad accettare l'idea che esistano diverse civiltà a cui apparterrebbero tutti quelli nati in un determinato ambiente. La tesi centrale del libro è che in questo stia lo sbaglio: ognuno di noi fa parte contemporaneamente di diversi gruppi, in base a genere, classe sociale, professione, idee politiche, ecc. e l'importanza di queste svariate identità cambia nei diversi momenti e ambienti della vita quotidiana. E' indispensabile quindi favorire la libertà culturale di ogni individuo, che non va confusa con quella forma di multiculturalismo che vuol far convivere, una accanto all'altra, comunità chiuse in sé stesse.
Identità e violenza
Nel 1944 a Dhaka, nel Bengala che ancora faceva parte dell'India, un bambino di 11 anni vide arrivare nel giardino di casa un uomo gravemente ferito che implorava un sorso d'acqua. Colpevole solo d'essere musulmano, era stato linciato per strada da alcuni indù. Amartya Sen, il bambino della mia storia, non ha mai dimenticato quell'episodio. Da allora il futuro premio Nobel per l'economia ha imparato a diffidare di quelle categorie collettive - religione, razza, nazione, lingua - che hanno la pretesa di definire in maniera irrevocabile che cosa sia un individuo e di vedere in questa "minimizzazione dell'essere umano" - come lui la chiama - un seme di brutalità e di violenza. "E l'uomo dov'era?" dice un verso del Canto Generale di Neruda. È la domanda che sembra porsi Amartya Sen in ciascuna delle pagine di questo libro. (Mario Vargas Llosa)
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Edizione:5
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Anno edizione:2008
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Pier Claudio Antonini 05 marzo 2017
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